
Ottimo successo per Ambrogio Maestri e Mattia Olivieri
Passato il dittico verista, in Scala ritorna una delle opere più amate di Donizetti: Don Pasquale. Una ripresa dell’allestimento, datato 2018 con la regia di David Livermore, molto particolare, ricco di trovate interessanti e pienamente riuscito. Livermore ambienta la vicenda a Cinecittà, nella Roma tra gli anni cinquanta e sessanta, con vari rimandi, tutti da cogliere, a registi come Risi, Fellini, De Sica.
Le scene in collaborazione con Giò Forma sono incentrate sull'imponente casa rotante di Don Pasquale.
La sinfonia è accompagnata dal funerale della madre del protagonista, che diventerà una presenza ossessiva in un quadro che cambia mimica facciale e come fantasma che riappare in alcuni momenti sul palco. Il colore dominante è il grigio del palazzo e dei cieli plumbei che sorvolano Roma, grazie all'ottimo lavoro nei video design D-work e nelle luci di Nicholas Bovay. I costumi di Gianluca Falaschi sono un concentrato di classe ed eleganza.
Evelino Pido' guida con mano sicura l'orchestra della Scala. In alcuni momenti il suono era molto potente e rischiava di coprire alcune voci. Ma nel complesso sono emerse belle sfumature, legate a tempi sempre corretti. Nonostante i pochi interventi, il coro del teatro, guidato da Alberto Malazzi, ha dimostrato una compattezza e una potenza all'altezza del suo nome.
Ambrogio Maestri è stato un travolgente Don Pasquale. La voce è potente, sonora, sicura. C'è molta cura nel canto, nei recitativi e nell'interpretazione scenica, dove il baritono ha dosato momenti di comicità ad altri dal sapore più malinconico, senza cadere mai in gigionismi esagerati.
Andrea Carroll è una Norina ben delineata sotto l'aspetto attoriale. La voce invece è risultata esile, con poco smalto negli acuti e senza troppe colorature. Applaudita la cavatina "Quel guardo il cavaliere... So anch'io la virtù magica" cantata sopra una spider dell'Alfa Romeo in bilico sulla città.
Lawrence Brownlee delinea un corretto Ernesto. Il volume non è grandissimo, ma il canto è garbato, curato e tocca momenti di buon lirismo nell'aria "Cercherò lontana terra" del secondo atto.
Mattia Olivieri è uno straordinario Dottor Malatesta. Il giovane baritono attualmente passa con disinvoltura in ruoli molto diversi fra loro, sempre con ottimi risultati. Voce morbida, buon fraseggio e frizzante recitazione. Nel velocissimo sillabato "Cheti cheti immantinente" ha mostrato fluidità e corretta respirazione.
Completava il cast l'ottimo notaro di Andrea Porta.
Felice successo per tutta la compagnia, con ovazioni per Maestri e Olivieri.
Marco Sonaglia
(Teatro alla Scala 11 maggio 2024)