
Coinvolgente interpretazione di Roméo et Juliette con la raffinata orchestrazione di Lorenzo Viotti
Il Teatro alla Scala ripropone Roméo e Juliette di Charles Gounod nella versione scenica già presentata a Milano nel 2011 e prodotta nel 2008 dal Festival di Salisburgo per la cornice della Felsenreitschule.
Lo spettacolo, firmato dall’americano Bartlett Sher e ripreso per l’occasione da Dan Rigazzi, ambienta la tragedia degli amanti veronesi in una città italiana del settecento, inquadrando la scena in una piazza delimitata da un sontuoso palazzo neoclassico. Le scene sono firmate da Michael Yeargan. Il palco è popolato da personaggi mascherati con accenni alla commedia dell’arte e anche ad un poco probabile Pulcinella. Una sorta di stereotipato carnevale veneziano, accurato ma non particolarmente originale, per la grande festa del primo atto; mentre nel secondo tempo si figura un mercato con tanto di bancarelle e, per la scena finale, una cripta vagamente rinascimentale con grandi sarcofaghi a vista. La regia è condotta in modo classico, al limite del convenzionale; illustra la vicenda con garbo, ha qualche buona soluzione, ma risente con tutta evidenza del tempo trascorso e di una certa immagine turistica dell’Italia. Il colpo d’occhio rimane piacevole e sontuoso, esaltato dai bei costumi settecenteschi di Catherine Zuber, anche se ci sfugge il nesso di questa ambientazione temporale con la vicenda di Romeo e Giulietta.
Se la messa in scena non brilla per originalità, ieri alla Scala abbiamo riscontrato come l’interpretazione faccia la differenza. L’opera di Gounod infatti, che ha visto la sua prima rappresentazione nel 1867, adotta soluzioni drammatiche e musicali che si ascrivono appieno al tardo romanticismo. Risente della prassi teatrale parigina che richiedeva lavori spettacolari e vari nei pezzi musicali, anche a discapito della drammaturgia. Da sempre è praticamente assente dal repertorio dei teatri italiani, nel novecento torna alla Scala solo nel 1911 e nel 1934.
Questa edizione è stata vivificata dalla splendida concertazione di Lorenzo Viotti, che, a capo dell’orchestra del teatro, ha saputo infondere i giusti colori alla partitura, una dinamica assolutamente moderna e creare un amalgama eccellente. Il direttore è riuscito a dare senso anche alle parti più convenzionali, che in verità non mancano, della partitura di Gounod.
Trionfatore della serata è stato Vittorio Grigolo, un Roméo eccellente per maturità artistica e tecnica vocale. Grigolo canta con intelligenza, ha voce piena e timbrata che sa duttilmente piegare a pianissimi e mezze voci esaltanti per controllo e souplesse; inoltre è sempre teatrale, comunicativo e dotato di un magnetismo da vero mattatore del palcoscenico. Quel tanto di spavalderia un po’ gigiona che è carattere precipuo del tenore toscano si adatta splendidamente al romantico Roméo scritto da Gounod, facendone l’interprete ideale per questa parte. A fine serata è stato accolto da una vera ovazione di applausi da parte del pubblico scaligero. Splendida anche Diana Damrau come Juliette. Il soprano tedesco è dotato di una voce duttile e omogenea che gestisce con gusto e misura anche grazie alla lunga esperienza in palcoscenico. In grande spolvero nell’aria drammatica del quarto atto (Dieu! Quel Frisson court dans mes veines), si difende ottimamente anche nel noto rondò-valse del primo atto (Jeu veux vivre dan le reve). Una prova superba anche per lei, salutata da uno scroscio di applausi. I due artisti insieme hanno dato poi il loro meglio nei duetti d’amore, dal madrigale a due voci del primo atto fino al duetto finale di struggente intensità e partecipazione emotiva.
Il successo della serata è stato completato da un numeroso cast tutto di alto livello, affiatato e preparato. Su tutti spiccano i due bassi: il Capuleti ottimamente interpretato con voce chiara e timbrata da Frédéric Caton e il Frère Laurent di Nicolas Testè, dalla voce duttile e ben proiettata in tutti i registri. Mercutio era Mattia Olivieri che, pur senza brillare nella ballata della regina Mab, lascia il segno nella scena della morte, dove sfoggia voce piena e un grande talento scenico. Ruzil Gatin è stato un Tybalt spavaldo e di pregevole squillo. Marina Viotti uno Stéphano musicale; sempre incisiva nei suoi interventi la Gertrude di Sara Mingardo. Completavano il cast Edwin Fardini, Paolo Nevi, Jean-Vincent Blot e Paul Grant.
Una splendida serata che il pubblico scaligero ha salutato con un profluvio di applausi.
R. Malesci (16/02/2020)