Recensioni - Opera

Milano: convince anche il secondo cast della Forza

Dopo cinquantanove anni di assenza è tornata La forza del destino ad aprire la stagione lirica del teatro alla Scala di Milano

L'opera monumentale di Giuseppe Verdi che si trascina dietro la leggenda di essere "maledetta" e per questo poco frequentata. Proposta nella versione in quattro atti del 1869, in un nuovo allestimento con la regia di Leo Muscato, dal taglio quasi cinematografico e con l'intento di raccontare il dramma della guerra in epoche diverse.

Le scene curate da Federica Parolini mostrano questo grande disco rotante che permette di cambiare gli ambienti in maniera veloce, tra cui la camera di Leonora, il convento e il campo di Hornachuelos. Nel primo atto l'epoca è quella settecentesca del libretto, nel secondo atto siamo in pieno Risorgimento, nel terzo atto durante la prima guerra mondiale e nel quarto un campo profughi di una delle tante guerre attuali. Ottimi i costumi che ovviamente cambiano in base alla narrazione, della sempre brava Silvia Aymonino, di bell'impatto le luci di Alessandro Verazzi, funzionali le coreografie di Michela Lucenti.

Riccardo Chailly guida l'orchestra del teatro alla Scala con la consueta mano sicura, prediligendo un volume corposo, con ritmi frenetici, incandescenti e con la giusta attenzione per le voci. Bellissima la sinfonia iniziale, e alcuni momenti più delicati come "La vergine degli angeli" e il diminuendo degli archi nel finale. Da segnalare anche il notevole solo di clarinetto al terzo atto, eseguito in maniera impeccabile da Fabrizio Meloni.

Difficile oramai trovare le parole per descrivere la grandezza del coro scaligero. In quest'opera in particolare ne è protagonista assoluto (visti i tanti interventi a disposizione) con una prova gigantesca, ricca di colori e dinamiche, grazie al lavoro certosino del maestro Alberto Malazzi.

Elena Stikhina è stata una convincente Leonora. Il soprano russo ha dominato con sicurezza una parte alquanto impervia, gestendo bene il luminoso registro acuto e senza ingrossare mai il suono nella zona grave. Un canto ricco di sfumature, con mirabili pianissimi e una recitazione molto partecipata. Grande intensità con l'aria "Madre, pietosa Vergine" e la successiva "Vergine degli angeli", più robusta in "Pace mio Dio".

Luciano Ganci previsto nel secondo cast, alla fine si è trovato a cantare più recite del titolare e direi anche meritatamente. Il suo Don Alvaro brilla per lo squillo sicuro, per gli acuti sempre limpidi e ben proiettati, per il nobile fraseggio, per la ricchezza degli armonici, per le pregevoli mezzevoci, per l'incisiva presenza scenica. La famosa romanza del terzo atto "O tu che in semi agli angeli" è un chiaro esempio di belcanto, eseguita a regola d'arte.

Ludovic Tezier tratteggia un Don Carlo di Vargas molto energico e desideroso di vendetta. Poco bacelliere nella ballata "Son Pereda, son ricco d'onore", non aiutato sicuramente dai tempi eccessivamente lenti dell'orchestra, si trova più a suo agio nell'aria "Urna fatale del mio destino" dove al solido mezzo vocale (che in alcuni momenti è apparso stanco) unisce la sua verve attoriale.

Simon Lim è un Padre Guardiano dal timbro alquanto ampio, pastoso e profondo, adatto ad infondere la giusta saggezza e solennità al suo personaggio.

Vasilisa Berzhanskaya delinea una Preziosilla briosa e di un buon impatto scenico. Si muove con facilità nelle parti più alte della partitura, dove sfoggia acuti centrati, più carente nel registro medio-grave.

Brillante, con i giusti tempi comici uniti ad un cesello sulla parola e ad una morbida pasta vocale è il riuscitissimo Fra Melitone di Marco Filippo Romano , un vero esempio di recitar-cantando.

Buono il Calatrava di Fabrizio Beggi, sempre impeccabile e squillante Carlo Bosi
(Trabuco), sonoro il chirurgo di Xhieldo Hyseni, validi Marcela Rahal (Curra) e Huanhong Li (Un alcade).

Teatro sold out, applauditissimo tutto il cast, con un trionfo per Luciano Ganci, vero mattatore della serata.

Marco Sonaglia (Teatro alla Scala 28 dicembre 2024)