Recensioni - Opera

Modena: Aroldo nel Ventennio

L'opera di Verdi in un riuscito allestimento in cui la trama si fonde con la storia del teatro Galli di Rimini in cui debuttò.

Completamente incentrata sul concetto di rinascita sembra porsi la lettura drammaturgica ideata da Emilio Sala e Edoardo Sanchi per questa nuova produzione di Aroldo. Essa (che vede riuniti i Teatri di Rimini, Ravenna, Piacenza e Modena) partita lo scorso agosto proprio dal palcoscenico che le diede i natali, Rimini (prima esecuzione nel 1857) sembra voler concentrare l’attenzione sulla storia di questa partitura, così saldamente unita a quella del Teatro Galli, già Nuovo Teatro. Completamente distrutto durante il disastroso bombardamento aereo che il 28 dicembre 1943 colpì la città italiana, il teatro fu ricostruito, dopo anni di colpevole abbandono, solo nel 2018 grazie ad un forte sentimento, sorto da una presa di coscienza collettiva, che un particolare episodio (che ha i tratti di un romanzo) giunse a destare. Il teatro potè dunque, quale spazio di scambio sociale per eccellenza, essere finalmente restituito ai cittadini ed alla comunità tutta.
Nella regia di Sala e Sanchi la prima cosa a mutare è la prospettiva temporale (Aroldo non è qui un reduce dalle Crociate ma della campagna coloniale italiana in Africa) che si amplia adattando la sua lettura ad un modello di rinascita che, partendo dal tema del perdono, sembra riconciliare lo spazio teatro con il suo pubblico, proiettandone ed ampliandone il significato.

L’azione parte con una voce femminile narrante fuori scena il ritrovamento del vecchio sipario storico (dipinto dal pittore bergamasco Francesco Coghetti “Giulio Cesare che passa il Rubicone “ che chiuderà poi lo spettacolo, schiudendosi su di un teatro rinato quale spazio rinnovato ed in perenne dialogo sociale) e, dopo pochi minuti si è immersi in una realtà visiva che alterna, con bella intuizione, video d’epoca e semplici strutture che rimandano all’estetica architettonica fascista. Anche l’uso della grafica è attento e misurato e, attraverso semplici e significative immagini, ben immortala il credo ed il linguaggio di un’epoca. In questo contesto ben si innesta il tema della partitura, come si sa dibattuto rifacimento di Stiffelio (cui la censura aveva reso la vita difficile) con il suo rinnovato finale dove il perdono non è più atto dovuto da parte di un sacerdote ma scelta libera e consapevole di un uomo.
Tutto si muove con grande coerenza in scena e riesce a sposarsi felicemente ai temi più profondi dell'opera, anche se a tratti la storia del teatro sembra sopravanzare il dramma stesso ma, anche in questo caso, si tratta di scelte registiche tanto consapevoli quanto motivate e ben realizzate che, proprio per questo, possono ben indurre riflessioni o aprire al dialogo. Misurato ed attento il lavoro con gli artisti impegnati a tutto tondo in questa produzione che li pretende vocalmente e teatralmente sempre perfettamente equilibrati.

Luciano Ganci quale Aroldo conferma un timbro elegante e di sicuro effetto. Il suono è sempre affascinante e ben proiettato così come il modo di porgere teatrale e morbido; unico suo limite è forse risultato quello di essere, a tratti, troppo concentrato ed attento alla vocalità del personaggio con una piccola perdita nella resa teatrale ed espressiva del suo carattere.
Ottima nella sua totalità si poneva la prestazione maiuscola di Roberta Mantegna quale Mina. Il timbro dell’artista ormai ha raggiunto una grande maturità espressiva e, oltre ad essere molto interessante per colore ed armonici, ha assunto una caratteristica timbrica davvero molto teatrale e dinamica. Così il suo personaggio, oltre ad essere ben delineato sotto il profilo drammatico, viene supportato nella definizione psicologica da una vocalità declinata attraverso un dominio tecnico mai freddo ma sempre attentamente modulato ed in Verdi questa caratteristica è ancor più apprezzabile. Assai bene anche l’Egberto che Vladimir Stoyanov cesella con la morbidezza della sua mobile timbrica attraverso una chiave espressiva mai scontata ma sempre mossa nei chiaroscuri.
Molto bene Adriano Gramigni quale possente Briano e professionali e compiti Riccardo Rados e Giovanni Dragano rispettivamente impegnati quali Godvino ed Enrico.
Sostanzialmente corretto il Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.

Manlio Benzi ha guidato con sobrietà e misura l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini mostrando una bella coesione con il cast in palcoscenico e questo è sempre un valore aggiunto in una qualsiasi produzione teatrale che proprio sulla comunione di intenti basa la sua più totale riuscita.

Una produzione davvero molto felice dunque quella di questo Aroldo, che il pubblico presente in sala ha mostrato di gradire molto attraverso numerosi applausi e chiamate e che merita di essere ripresa in più di uno spazio teatrale, dato anche il profondo messaggio che racchiude.