Recensioni - Opera

Monaco: Successo incondizionato per il Peter Grimes di Jonas Kaufmann

Felice ripresa alla Bayrische Staatsoper dello spettacolo firmato da Stephen Herheim

In una Monaco pulsante per l’Oktoberfest, che dopo due anni di Covid torna a marcare l’inizio dell’autunno nella capitale bavarese, alla Bayrische Staatsoper vanno in scena le repliche di Peter Grimes di Benjamin Britten nell’allestimento firmato da Stephen Herheim.
Una delle tante note positive dei teatri di repertorio è che una produzione può essere ripresa più volte nel corso della medesima stagione e non necessariamente con cast di minore prestigio. Prova ne sia il fatto che, dopo il debutto a febbraio e la ripresa a luglio, le recite di settembre vedono in scena alcuni protagonisti della prima con la presenza della star di casa Jonas Kaufmann nel ruolo del titolo.

Composto a metà degli anni 40 del secolo scorso, in un’epoca in cui in Inghilterra l’omosessualità era un reato, da Benjamin Britten che, in quanto omosessuale, subiva in prima persona questa  discriminazione, Peter Grimes affronta il tema della difficoltà di integrazione all’interno della società del “diverso”, di chi si comporta in modo non conforme, che quindi viene percepito come alieno e guardato con sospetto.
Nessuno della comunità in cui vive sa con certezza se Grimes abbia commesso qualche reato; si sa solo che uno dei suoi apprendisti è morto in mare durante una burrasca sopraggiunta nel corso di una battuta di pesca e non ci sono prove che lui sia direttamente responsabile. Tuttavia l’opera inizia con un processo al termine del quale gli abitanti del villaggio emettono una sentenza sommaria che lo assolve ma che non gli impedisce di essere estromesso dalla vita sociale perché il suo atteggiamento stride con il loro conformismo. Lui dal canto suo vorrebbe solo fare una buona pesca, grazie alla quale guadagnare abbastanza per migliorare la propria condizione sociale, farsi accettare dalla comunità e potersi sposare con la maestra Ellen Orford. Ma anche questa forma di riscatto borghese gli sarà preclusa, perché dopo la morte anche del secondo apprendista gli verrà suggerito di suicidarsi, con grande sollievo della comunità che potrà così alleggerirsi di questo elemento perturbante.
In questo borgo dominato dall’ipocrisia -Mrs. Sedley è una pettegola perbenista, che si rifornisce di oppiacei dal farmacista; Zietta gestisce un pub in cui si prostituiscono due giovani che spaccia per nipoti, dei cui favori non disdegna anche il magistrato Swallow, la figura più autorevole della comunità- spiccano le figure di Ellen Orford e Balstrode, che al contrario agiscono per cercare di far integrare Peter, anche se alla fine sarà proprio lo stesso Balstrode a suggerirgli di prendere il largo e affogarsi in mare.

La regia di Herheim ambienta l’intera vicenda in un unico spazio, progettato da, Silke Bauer che è una sorta di salone delle feste pubbliche con tanto di palcoscenico all’interno del quale si svolge l’intera vicenda. Lo spazio muta a seconda dell’alzarsi e dell’abbassarsi del soffitto e dello scorrere di alcuni sipari, soluzione che favorisce una lettura metateatrale ed antinaturalistica della vicenda, al punto che nel finale anche il sipario di proscenio verrà chiuso da Balstrode e dal Reverendo Adams.
Il coro è quasi sempre in scena, a volte come mero spettatore, a volte come massa plastica che accentua il perenne contrasto tra società e singolo individuo. L’ambientazione nel XX secolo -costumi di Ester Bialas- rende più espliciti alcuni vizi del borgo, soprattutto quelli legati alla disinvolta sessualità delle “nipotine” mentre Balstrode diventa una sorta di alter ego di Peter, che in gioventù potrebbe essere stato suo apprendista, come si intuisce nella scena mimata durante il primo interludio e dal fatto che nel finale, in una sorta di gioco di specchi,  Peter sarà vestito con lo stesso completo bianco che avevamo visto indosso al suo giovane apprendista. Inoltre sia Peter che Balstrode portano lo stesso maglione, identico a quello che Ellen dirà di aver realizzato a maglia per il secondo apprendista, anche lui destinato a morire in un incidente provocato dalla malevola e morbosa curiosità degli abitanti del borgo, che in questa regia diventano addirittura autori materiali del gesto che lo farà precipitare.
Uno spettacolo nel complesso duro, che rimarca la violenza fisica e soprattutto psicologica del libretto, ma che non manca di momenti lirici, soprattutto gli interludi, suggestivi e poetici, che in alcuni casi permettono di scavare nell’animo e nel vissuto di Peter.

Decisamente valido il versante musicale nonostante abbia suscitato qualche perplessità la concertazione di Erik Nielsen, subentrato durante le prove a James Conlon, che ha optato per una lettura dalle sonorità marcate che, oltre a dare l’impressione di scivolare in superficie senza toccare veramente il cuore della partitura, spesso sconfinava nel forte con il risultato di coprire le voci.
Voci che al contrario si sono rivelate estremamente interessanti. Jonas Kaufman delinea un Peter Grimes sfaccettato, che ostenta durezza ma che nasconde profonde fragilità e un senso di inadeguatezza, che si mostra più a suo agio nei momenti lirici rispetto a quelli declamati nei quali, soprattutto nel primo atto, la linea di canto appare più ruvida. Il carisma del grande artista si rivela con evidenza nell’aria del secondo atto durante la quale, se fosse stato sorretto da un’orchestra meno invadente, avremmo potuto parlare di miracolo. Miracolo cui si è invece assistito nella scena finale della quale Kaufmann ha dato un’interpretazione struggente, con l’orchestra che finalmente ha respirato con il canto, toccando vette altissime di teatro musicale. Dieci minuti che da soli sono valsi tutto lo spettacolo. Rachel Willis-Sørensen è una Ellen Orford che lascia il segno per la sua grande intensità sia vocale che scenica, anche se al timbro rigoglioso fa da contraltare un fraseggio non sempre perfettamente a fuoco.  Christopher Purves dà vita ad un Balstrode in perfetto equilibrio tra la durezza del marinaio e l’affetto per Peter, grazie ad un timbro pieno e corposo e ad una linea di canto eccellente. Ottimi i comprimari: Susan Bickley (Zietta), Lindsay Ohse e Sara Gilford (le nipoti), Brindley Sherratt (Swallow), Jennifer Johnston (Mrs. Seedley) ed eccellente il coro, vero protagonista di quest’opera.

Al termine un quarto d’ora di applausi entusiasti e reiterate chiamate a proscenio per tutti: il pubblico di Monaco sa come dimostrare affetto ai suoi artisti.