Recensioni - Opera

Monaco: la mente di Wozzeck è uno stagno nero

Sontuosa e illuminante messa in scena del regista Andreas Kriegenburg

La Bayerische Staatsoper di Monaco riprende con successo anche per quest'anno la messa in scena di Wozzeck di Alban Berg, curata nel 2008 dal regista Andreas Kriegenburg e coprodotta con il New National Theatre di Tokyo.

Titolo difficile e di non immediata fruizione, la serata a cui abbiamo assistito ha registrato comunque il tutto esaurito. Una delle serate successive è stata poi trasmessa in diretta dalla televisione bavarese, dimostrando che l'opera di Alban Berg è ormai un classico riconosciuto nei palcoscenici di lingua tedesca.

La regia di Andreas Kriegenburg è illuminante. All'inizio il tutto sembra ambientato in una stanza spoglia, scrostata, povera: il piano della realtà della misera vita dell'attendente Wozzeck. Senonché improvvisamente e inaspettatamente la stanza inizia, grazie ad un magistrale e perfetto effetto scenico, ad arretrare e a fluttuare nel vuoto, rivelando sotto di essa uno stagno nero in cui si muovono e sguazzano a pelo d'acqua scuri e indefiniti personaggi. Si comprende dunque che questo ambiente onirico è la metafora visuale della mente malata di Wozzeck, portato lentamente alla follia dai crudeli esperimenti del dottore.

Tutti i personaggi, eccetto Marie, sono figure caricaturali, forse il parto stesso delle visioni del protagonista. Il Dottore, il Tamburmaggiore e il Capitano esprimono costantemente un eccesso, una patologia, che si riverbera sui costumi deformanti, a cura di Andreas Schraad, sulle pose arcaiche, sulle movenze meccaniche. Nello stagno si aggirano figure scure, sempre voltate di spalle, che rincorrono ossa gettate da muti inservienti. Il coro è un ammasso di uomini e donne dalla gobba vistosa e dai visi arcigni. In confronto a queste visioni da incubo, la stanza di Wozzeck, per quanto claustrale e sudicia appare un porto sicuro ed idillico. Tutte le scene con Marie infatti avvengono all'interno della stanza, in cui fra l'altro è sempre presente il figlio illegittimo della coppia, impegnato a scrivere semplici parole sui muri: “Mamma”, “Papà”. Parole che sembrano macigni incomprensibili ai protagonisti. Infatti, nel finale il dramma si compirà quando il bambino scriverà sul muro “Puttana”, liberando la ferocia assassina del padre.

Uno spettacolo tanto completo, denso di significati, preciso, pieno, sfaccettato da risultare quasi indescrivibile nella sua complessità. Assolutamente da vedere.

Hartmut Haenchen dirige magistralmente l'ottima orchestra di stato bavarese. Perfetta la compagnia di canto su cui spicca il Wozzeck di Christian Gerhaher, che canta con voce sfaccettata e potente, impersonando credibilmente il difficile personggio. Credibile e appassionata la Marie di Gun Brit Barkmin. Wolfgang Ablinger Sperrhacke è un capitano preciso e giustamente caricaturale. Jens Larsen un dottore tonitruante e minaccioso. Jon Daszak un Tamburmaggiore farsesco. Ottimo anche il resto della numerosa compagnia di canto.

Entusiastici applausi a fine serata.

(R. Malesci 20/11/19)