Recensioni - Opera

Monaco, senza inibizioni il Don Giovanni al Gärtnerplatztheater

Ottima messa in scena del dramma giocoso mozartiano curata con inventiva e divertimento dal regista Herbert Föttinger

Anche nella stagione 2022 – 2023 lo Staatstheater am Gärtnerplatz riprende la riuscita messa in scena del “Don Giovanni” di Wolfgang Amadeus Mozart, che ha debuttato nel 2017 al Cuvilliéstheater diretto da Herbert Föttinger.

Una messa in scena moderna, vitale, ironica, a tratti provocatoria, che spesso punta sugli aspetti più comici del dramma giocoso mozartiano, ottimamente ripresa da Ulrike Aberle.

L’allestimento utilizza ampiamente il palcoscenico girevole del Gärtnerplatztheater, sul quale lo scenografo Walter Vogelweider ha ideato, probabilmente ispirandosi alla scena a tre strade del dramma classico, tre bianche case triangolari, con molte porte, che girando creano gli ambienti esterni più svariati e permettono di passare agevolmente da un incrocio di via all’altro senza soluzione di continuità. Gli ambienti interni sono invece caratterizzati da un grande lampadario che scende proprio all’incrocio delle tre strade. Nulla di troppo definito dunque, un lavoro incentrato più che altro su accenni e rimandi scenici e interamente lasciato alla verve dei cantanti attori e alle idee registiche.

Idee che certo non mancano, in primis la scelta di lavorare su una sessualità scoperta, reale, credibile, per cui si rende palpabile l’attrazione fisica sia di Donn’Anna che di Donna Elvira nei confronti di Don Giovanni. Agli interpreti viene richiesto di essere coinvolti fisicamente e in modo realistico, di comunicare un vissuto anche erotico esattamente come è descritto dalle parole di Da Ponte. Cosa non da poco, soprattutto se pensiamo alle molte regie italiane contemporanee viste negli ultimi anni, anche di registi affermati, in cui il più delle volte l’erotismo è meramente accennato, spesso imbalsamato o demandato all’immaginazione in un trionfo di scenografie barocche e abiti settecenteschi.

Herbert Föttinger invece gioca sulla verosimiglianza dell’infatuazione sessuale, lavorando sul coinvolgimento dei cantanti, sul realismo scenico, senza mai avere la tentazione di scadere nel volgare fine a sé stesso, anzi spesso giocando in modo ironico sull’archetipo erotico del Burlador di Siviglia. Egli da sempre una lettura interessante e spesso innovativa delle situazioni, a partire dall’inizio in cui Donna Anna è palesemente coinvolta nella tresca con Don Giovanni e l’omicidio del commendatore risulta quasi un involontario errore: due giovani che la combinano grossa trascinati dalla passione.

Gustoso poi l’arrivo della disperata Donna Elvira, con seguito di valigie firmate trascinate da divertenti cameriere subito disponibili con lo spregiudicato cavaliere; oppure la scena del matrimonio, in cui ragazze e ragazzi festeggiano travestendosi i rispettivi addii al nubilato e al celibato. Masetto e gli altri invitati finiscono così in gonna di tulle – moderni ed efficaci i costumi di Alfred Mayerhofer - , quasi l’arrivo di Don Giovanni li avesse privati della loro virilità, gonna che il povero Masetto non potrà togliersi fino alla seconda aria di Zerlina, nella quale la ragazza, consapevole e disinibita, gli permetterà di rimettersi i pantaloni dopo che nella prima aria tutta l’iniziativa seduttiva era rimasta a lei con una ironica fellatio sotto la gonna dell’impotente promesso sposo.

Oppure ancora la vendicativa Donna Elvira che salva Zerlina dagli approcci di Don Giovanni saltando fuori da un mucchio di petali di rosa rossi, salvo poi concedersi ad un accenno di amore a tre, tanto è il desiderio che la trascina verso l’amato.

Don Giovanni, un Timos Sirlantzis dal perfetto fisico del ruolo, non è altro che un amante seriale, che esorcizza le sue insicurezze nel sesso, nell’alcol e nella droga. È accompagnato da un Leporello insicuro, adolescenziale nel suo nascondersi sotto il cappuccio di una tuta, intimamente “nerd” con occhiali e tablet sempre a presso. Il servo è chiaramente affascinato dal padrone, vorrebbe essere come lui, salvo poi reagire a gestacci esilaranti quando viene da questo tradito.

La trasgressione vitalistica è il perno di questo Don Giovanni, perduto in un mondo che forse non capisce più, troppo vasto anche per lui, essendo pure il catalogo delle belle salvato in un computer dalla capienza infinita e virtualmente impossibile da colmare. L’apice trasgressivo avviene con la blasfemia verso la statua del commendatore, che in realtà è Gesù Cristo in croce, che viene letteralmente tirato giù da un eroe che ormai sta perdendo il controllo della ragione per un accumulo seriale di eccessi, non solo sessuali.

La scena finale altro non è infatti che un banchetto a base di stupefacenti, senza inutili orpelli o vivande improbabili, ma solo alcool, droga e un letto di rose rosse a coprire l’intero palcoscenico. Il commendatore non appare, ma è solo un incubo nella mente del protagonista ormai ossessionato dai suoi delitti e dalla figura di cristo, che viene portato in scena in braccio dallo stesso Don Giovanni, ormai mentalmente sconvolto dalla cocaina, proprio nel momento cui dovrebbe entrare il commendatore.

Il finale è poi un crescendo di pazzia che terminerà con il suicidio del protagonista, probabilmente indotto dalla droga, che si sparerà un colpo intesta con la stessa pistola utilizzata per uccidere il Commendatore all’inizio del dramma.

Una regia riuscitissima, dunque, ben calibrata e resa drammaturgicamente efficace in ogni scena. Tante le altre idee e trovate, sempre ingegnose e spiazzanti, quasi impossibili da descrivere tutte. Accurata la recitazione dei cantanti, giovani e appassionati, coadiuvati da un gruppo di figuranti e comparse veramente all’altezza. Un ensemble compiuto e ben selezionato quello del Gärtnerplatztheater, che ci regala una prova d’insieme maiuscola giustamente salutata da un successo al calor bianco.

Timos Sirlantzis interpretava magistralmente il ruolo del titolo, sfoggiando voce timbrata e sicura e grande spavalderia vocale. Il giovane basso greco, oltre ad essere fisicamente perfettamente in parte, si è dimostrato in grado di interpretare in modo efficace e calibrato le spesso non semplici richieste registiche. Assolutamente coinvolgente in un finale allucinato ed esagitato, ove vocalità e recitazione si amalgamavano alla perfezione.

Al suo fianco il simpatico e stralunato Leporello di Alexander Grassauer, che riesce a costruire scenicamente un personaggio assolutamente opposto al protagonista, completandolo poi con una voce sicura negli accenti e accurata nel fraseggio.

Donna Elvira era interpretata da Maria Celeng. Il soprano ungherese incanta per la voce spavalda, dall’ottimo volume, sicura nelle variazioni e capace di sfumare nei pianissimi. Ottima anche la parte recitativa, ove rende magistralmente il furore di donna delusa e abbandonata ma ancora inesorabilmente attratta da Don Giovanni.

Lo stesso dicasi per la Donn’Anna di Jennifer O’Loughlin che disegna un personaggio perfetto combattuto fra rimpianto, vendetta e disperazione. Voce sicura e ben timbrata la sua, ha convinto con una prova omogenea, attenta e di taglio contemporaneo.

Don Ottavio era affidato al tenore Maximilian Mayer, che nel complesso ha convinto vocalmente, ove scenicamente si notava una spontaneità a tratti forzata.

Ottimi anche Zerlina, Anna Katharina Tonauer, e Masetto, Daniel Gutmann. Spigliata sia vocalmente che scenicamente la prima, costruisce un personaggio moderno, consapevole, disinibito, supportandolo con la sicurezza di un canto ben impostato e attento alla parola; convincente in tutti i sensi il secondo, sia per l’interpretazione villanesca, che per la voce tornita e omogenea. Completava bene il cast il Commendatore di Holger Ohlmann.

Coinvolgente la direzione musicale di Anthony Bramall, che conferisce alla musica di Mozart la giusta verve teatrale ed è sempre attento al rapporto fra buca e palcoscenico.

Grandi applausi per tutti nel finale.

Raffaello Malesci (29 ottobre 2022)