Recensioni - Opera

Napoli milionaria, un titolo da riscoprire

Il circuito lombardo ha concluso la stagione con un'interessante ripresa dell’ultima opera di Nino Rota

Ultimo titolo prodotto dal circuito OperaLombardia per la stagione lirica 2022/23, Napoli Milionaria di Nino Rota ha concluso la sua tournée con due repliche al Teatro Donizetti di Bergamo.
Tratta dall’omonima commedia di Eduardo De Filippo, che ne scrisse anche il libretto, l’ultima composizione operistica di Rota debuttò al Festival dei due mondi di Spoleto nel 1977, in un periodo nel quale la cosiddetta “musica colta” era quella atonale, che si rispecchiava negli insegnamenti della Scuola di Darmstadt. Per questo motivo, all’epoca, il linguaggio basato sulla melodia, dalle armonie semplici, di stampo quasi ottocentesco, venne accolto con sufficienza dalla critica, mentre ai giorni nostri, caduti alcuni preconcetti intellettualistici, questa musica suona attuale ed incontra i favori del pubblico.

Pur non avendo la compattezza e l’ispirazione de Il cappello di paglia di Firenze, il suo capolavoro operistico, Napoli milionaria spicca comunque per la straordinaria inventiva melodica di Rota, permeata da influenze novecentesche -la breve scena dei balletti ricorda le danze di West side story- costellata da alcune musiche provenienti dalle sue colonne sonore, tra cui spicca il tema di Milano e Nadia da Rocco e i suoi fratelli. Va quindi applaudita l’iniziativa di OperaLombardia di aver riproposto un titolo che nei sui 45 anni di vita ha conosciuto solo sporadiche riprese ed invece meriterebbe maggior attenzione nei nostri cartelloni.  

L’allestimento era una ripresa di quello prodotto una dozzina d’anni fa del Festival della Valle d’Itria con la regia di Arturo Cirillo: una scena unica, firmata da Dario Gessati che rappresentava il sobrio interno della casa di Gennaro Iovine, su cui troneggiava, come nella più classica delle iconografie napoletane, una monumentale Madonna, peraltro mai utilizzata ed a cui nessuno in scena ha mai badato durante tutto lo spettacolo. All’interno di questo ambiente la regia si è mossa secondo i binari della tradizione, limitandosi a coordinare entrate, uscite e qualche posizione sulla scena, rinunciando però ad un lavoro di approfondimento sui singoli interpreti che sembravano un po’ abbandonati a loro stessi, soprattutto nel primo atto, in cui il mancato lavoro sulle controscene sia dei protagonisti che del gruppo dei caratteristi durante la gag della finta morte, ne ha smorzato la comicità. Più convincenti i due atti successivi, nei quali i cantanti sono parsi più a loro agio e le masse sceniche sono state meno impegnate, anche se la scelta di aprire il secondo atto, in cui si festeggia la liberazione da parte degli americani, con il coro impalato a proscenio a sventolare bandierine è sembrata didascalica e rinunciataria, come è mancata un’idea forte che caratterizzasse il finale che, unico neo dal punto di vista compositivo, tende un po’ a dilungarsi.

L’aspetto musicale è stato caratterizzato dalla veemente direzione di James Feddeck, protagonista di una lettura che ha tenuto ben salde le redini della partitura esaltandone la componente drammatica, a volte a discapito dei protagonisti, dato che in parecchie occasioni l’orchestra tendeva a coprire le voci.
Apprezzabile il cast che ha visto in Clarissa Costanzo un’Amalia dal registro centrale pieno e corposo, partecipe sulla scena ed interprete di una trascinante scena d’amore nel finale del secondo atto. Al suo fianco Riccardo Dalla Sciucca è stato un Errico Settebellezze dal timbro luminoso che però in più occasioni è sembrato penalizzato dall’eccessivo volume orchestrale, mentre il Gennaro di Mariano Buccino è stato protagonista di una recita in crescendo che ha visto il suo apice nella drammatica aria del terzo atto. Il momento più intenso e coinvolgente dell’intera rappresentazione è stato però il duetto tra Maria Rosaria, l’intensa e musicalissima Maria Rita Combattelli, ed il marinaio Jhonny di Francesco Samuele Venuti distintosi per il bel fraseggio, nonostante il timbro un po’ ruvido. Valido l’apporto dei comprimari su cui spiccavano l’autorevole Brigadiere Ciappa di Alberto Comes, il Peppe o’Cricco di Pasquale Greco, l’Amedeo di Marco Miglietta, ed il Pascalino di Roberto Covatta che ha cesellato con raffinatezza la canzone “Villanova”.
Al termine successo caloroso da parte di un Teatro Donizetti quasi esaurito.