Di rassicurante classicità il canto del cigno del maestro fiorentino
Continuano le repliche di Traviata a Verona: la nuova produzione 2019 firmata dal defunto maestro Franco Zeffirelli per regia e scene e da Maurizio Millenotti per i costumi.
La scenografia la fa da padrona in questo caso, mostrando dapprima un grande sipario davanti al quale sfila il funerale di Violetta e in seguito per la festa della protagonista una immensa casa di bambole dove vediamo la gran sala da ballo e sopra di essa le stanze private di Violetta, il tutto in perfetto stile oleografico ottocentesco. Non manca una scalinata che collega i due piani e nell'ingresso sullo sfondo un ritratto di Violetta che rimanda al noto film del 1983. A lato della grande scena troneggiano due palchi teatrali che vogliono probabilmente richiamare una certa onnipresente teatralità. Il secondo atto mostra una grande vetrata di un giardino d'inverno a sua volta inquadrata in un sipario, quasi fosse un teatro di “verzura”, in un continuo rimando al teatro nel teatro. Per il terzo atto la scena si apre letteralmente girando silenziosamente su se stessa, peccato solo che questa operazione venga fatta durante una breve pausa rovinando in parte la sorpresa. Ci troviamo così davanti ad una sfarzosissima sala da gioco con tanto di statue e scalinate. L'azione nei momenti d'insieme è stracolma di comparse come da miglior tradizione zeffirelliana in arena. I costumi ottocenteschi sono ricchissimi e colorati. Una Traviata dei superlativi insomma, che ha il sicuro pregio di incantare il pubblico per l'imponenza e il lusso della messa in scena.
La regia di contro, complice probabilmente anche l'impossibilità di Zeffirelli di assistere alle prove, è assolutamente convenzionale e utilizza la scena principalmente come decoro. I cantanti dipanano l'azione prevalentemente a proscenio e paiono più mossi dal proprio estro scenico che da un progetto unitario. Anche le coreografie di Giuseppe Picone sono di rassicurante convenzionalità.
Buona la compagnia di canto della recita a cui abbiamo assistito: Lisette Oropesa è una Violetta dalla sicura linea di canto, scenicamente coinvolta e con una voce sonora e correttamente gestita. Ottimo anche Simone Piazzola in Giorgio Germont: il baritono veronese sfoggia un fraseggio omogeneo con splendidi sfumati e un controllo tecnico ottimale. D'altra parte ha fatto di Giorgio Germont uno dei pilastri della carriera. Appassionato e solare l'Alfredo del tenore messicano Arturo Chacòn Cruz che unisce alla baldanza una buona linea di canto, solo qua e là inficiata da alcune imprecisioni. Daniel Oren dirigeva l'orchestra dell'Arena di Verona con piglio e tempi serrati
Vivace successo a fine serata e bis del brindisi a furor di popolo.
(R. Malesci 08/08/19)