Recensioni - Opera

Orfeo, agli inferi in Metrò

È uno spazio decisamente inusuale quello ricreato per la rappresentazione di Orfeo nel metrò, spettacolo inaugurale del Monteverdi Festival 2019 a Cremona. Interpreti e pubblico vengono infatti posizionati sul palcoscenico del Teatro Ponchielli, in una location che rievoca l’interno della metropolitana e che, per dimensioni, probabilmente non differisce molto da quel salone del Palazzo Ducale di Mantova che nel 1607 -come viene peraltro rievocato su alcuni schermi- vide il debutto nella prima opera di Claudio Monteverdi.

 

Questa nuova edizione ha il pregio di riportare il primo dei capolavori del musicista di Cremona alla sua dimensione cameristica, creando un rapporto tra artisti e pubblico per molti versi simile a quello della prima assoluta.

 

Sul palcoscenico del teatro Ponchielli lo spazio viene delimitato da due pannelli che rappresentano le pareti di un vagone ferroviario, decorate dagli studenti del liceo artistico Stradivari, di fronte alle quali si posizionano gli spettatori. L’orchestra occupa la parte rivolta verso il fondale mentre i cantanti si muovono nel mezzo, interagendo anche con gli spettatori. Il viaggio agli inferi di Orfeo diventa un viaggio in metropolitana, anche questo quindi nelle profondità della terra ma rielaborato in chiave contemporanea, attualizzandone il messaggio.

L’idea di base viene sviluppata molto bene nel progetto di Luigi De Angelis, che firma regia scene e luci, mentre i costumi sono di Chiara Lagani: Orfeo è un musicista rock che non disdegna di esibirsi sui vagoni della metropolitana, la Musica una venditrice di compact disc, Caronte un vigilante della sala controllo, Plutone e Proserpina due militari. Lo spettacolo si dipana con grande coerenza e ricchezza di idee: molto suggestivo ad esempio il momento in cui ad Orfeo si spalanca la porta dell’Ade che altro non è che la platea del teatro stesso, svelata dall’aprirsi del sipario. Nel complesso quindi uno spettacolo di grande efficacia che rielabora con intelligenza il mito trasferendolo nella quotidianità.

La vitalità e la proposta si respira anche nella giovane età dei musicisti coinvolti. Hernán Schvartzman dirige l’Orchestra barocca della Civica Scuola di Musica Claudio abbado, che, nonostante necessiti di una maggiore messa fuoco nella sezione dei fiati, si disimpegna egregiamente sia nei passaggi più dinamici che in quelli più lirici. La compagnia di canto è dominata da Arianna Stornello, contralto dalla voce solida e ben timbrata, impegnata nel triplice ruolo di Musica, Messaggera e Proserpina, e da Lorenzo Tosi, Caronte e Plutone dal timbro e scuro e pastoso e dalla tecnica eccellente. Antonio Sapio è un Orfeo dal timbro chiaro, disinvolto nel fraseggio ma non sempre impeccabile nelle fioriture. Buona la prova del coro dei pastori su cui spicca Michele Gaddi, impegnato anche nel ruolo di Apollo, cui si affiancano Danilo Pastore, Stefano Maffioletti e Marco Tomasoni. Qualche perplessità viene dal versante femminile: Veronica Villa, interprete di Euridice, Eco e Speranza, non sempre sembra avere il giusto peso vocale, mentre Martha Rook è una Ninfa dall’intonazione spesso periclitante. Al termine applausi calorosissimi da parte di un pubblico coinvolto e partecipe.

Davide Cornacchione 2 maggio 2019