Recensioni - Opera

Otello si è perso a Cipro ma lo si cerca a Verona

La tragedia shakespeariana, ribattezzata in corso d’opera Lost in Cyprus, inaugura il 66° Festival Shakespeariano

Una vecchia superstizione vuole che Macbeth sia un’opera destinata a portare sfortuna, al punto che in teatro spesso si evita di nominarla, ricorrendo alla perifrasi di “tragedia scozzese”.
Visti i recenti episodi verrebbe però da pensare che per il Festival Shakespeariano di Verona, anche Otello inizi a non portare molta fortuna. Infatti tre anni fa un incidente diplomatico costrinse la produzione a sostituire il protagonista durante l’ultima fase di prove, mentre quest’anno a poco più di una settimana dal debutto si è avute la notizia dell’abbandono dello spettacolo da parte del regista e degli interpreti di Jago e Desdemona.
 

L’imprevisto ha quindi costretto il protagonista, Giuseppe Battiston a rivestire anche i panni di co-regista, insieme a Paolo Civati, per imprimere una nuova forma al progetto.
Da “Otello” il titolo è quindi diventato “Lost in Cyprus”, una sorta di spettacolo-studio in cui l’attenzione, come viene enunciato in apertura da Battiston stesso,  viene incentrato sulla parola, sul testo shakespeariano; il che giustificherebbe perché parti dello spettacolo vengano recitate mentre altre semplicemente lette.
L’impressione in realtà è quella che, data la situazione d’emergenza, questa soluzione di compromesso sia stata adottata per imbastire una drammaturgia che consentisse la coesistenza di scene già rodate con altre non ancora montate. Va però sottolineato che la nuova traduzione firmata da Patrizia Cavalli è così moderna e spigliata che il gioco regge egregiamente e l’alternanza recitazione-declamazione non disturba più di tanto.
In assenza di una regia “compiuta” tutto il peso dello spettacolo viene quindi caricato sulle spalle degli attori (scene e costumi, come nella migliore tradizione del teatro elisabettiano sono ridotti all’osso) che peraltro si disimpegnano molto bene.
Battiston è bravissimo nel delineare un Otello selvaggio, che incede scalzo con un’andatura quasi animalesca e che fa dell’olfatto il suo senso principale, fiutando tutti quanti si relazionano con lui.
Suo degno contraltare è lo Jago di Francesco Rossini che, nonostante i pochi giorni a disposizione per entrare nella parte, ha costruito un personaggio tanto viscido e ambiguo nella voce quanto barocco nel fisico, sempre alla ricerca di posture articolate che contrastano con quelle “primitive” del protagonista.
Forse risulta un po’ diafana la Desdemona di Federica Sandrini, ma anche a lei va riconosciuto il merito di essere riuscita a creare un personaggio articolato in una manciata di giorni.
Tra i comprimari spicca l’Emilia della brava Valentina Fois, mentre poco incisivo risulta il Cassio di Domenico Diele.
Convincenti Giovanni Calcagno, Michele de Maria ed Emanuele Vezzoli, ciascuno interprete di più ruoli.
Decisamente positiva l’accoglienza del pubblico che, grazie all’ottimo lavoro degli attori, è stato catapultato da Verona a Cipro senza “perdersi” mai lungo il cammino.

Davide Cornacchione 4 luglio 2014