
La nuova produzione affidata a Mario Martone
Ritorna al Teatro alla Scala Eugenio Oneghin, l’opera più nota e celebrata di Pëtr Il’ic Čajkovskij, in una nuova produzione firmata da Mario Martone, con le scene di Margherita Palli e i costumi di Ursula Patzak.
Ottime carte sul tavolo sia per la messa in scena, sia per la compagnia di canto, con Aida Garifullina nella parte di Tat’jana e una schiera di valenti specialisti del repertorio russo. Tutto faceva presagire un grande risultato, ma il teatro è una macchina misteriosa e non sempre con ottime carte si riesce ad avere un poker. Ed è esattamente quello che è successo alla Scala.
La regia di Martone infatti, ambientata in una non meglio definita modernità, risulta in sostanza più una trasposizione scenica che una vera e propria rielaborazione registica. Un ambiente aperto per il primo atto, con una casetta stilizzata piena di libri a simboleggiare i sogni romantici e letterari della protagonista. Tavoli e sedie che vanno vengono, accenni di naturalismo. Il secondo quadro organizzato in modo abbastanza asfittico all’interno della piccola casa.
Il terzo quadro è una festa campestre, con soldati e acrobazie varie al posto del ballo. Un pubblico si assiepa su una pedana in ferro. La scena non è particolarmente accattivante dal punto di vista estetico e non risolve brillantemente i passaggi drammaturgici. Nel finale, dopo che i due protagonisti maschili si sono sfidati a duello, la casetta di Tat’jana, rimasta sullo sfondo, crolla e i libri prendono fuoco. Per Tat’jana è finita la gioventù, sono finiti i sogni. Intenzione simbolica lodevole, ma risultato non efficace e mal organizzato. Il duello è una roulette russa e ci è sembrata una buona idea.
Gli ultimi due quadri dovrebbero essere una festa con tanto di ballo in società. Il tutto viene risolto con qualche telo rosso, lampadari dalla soffitta, ombre e un palco vuoto. Di balli e feste neanche l’ombra, o meglio solo le ombre indistinte sui velari rossi, salvo poi far accomodare i personaggi qua e là su sedute ottocentesche che cozzano con gli abiti moderni.
Il tutto è accurato, qualche idea è valida, ma manca una vera drammaturgia e alla fine abbiamo solo una trasposizione scenica in abiti contemporanei.
Il cast vocale si difende bene, ha solidità tecnica ed esperienza, il tutto però risulta impersonale, troppo composto, poco entusiasmante.
Aida Garifullina è una Tat’jana più che corretta, precisa e fisicamente in parte. Vocalmente ineccepibile, anche se forse il ruolo è pesante per lei e si è notato qualche affaticamento. Per il personaggio però la voce non basta, la Garifullina risulta fredda, distaccata, a tratti indifferente; ripetitiva nella recitazione. Insomma non entusiasma.
Alexey Markov (Evgenij Onegin) ha voce forte e ben impostata, ma anche qui si eccede in controllo, non c’è passione. Il Lenskij di Dmitry Korchak, prova a fare qualcosa in più e riceve molti applausi.
Corretto fino alla noia tutto il resto del cast: Alisa Kolosova, Elmina Hasan, Julia Gertseva, Dmitry Ulyanov, Huanhong Li, Oleg Budaratskiy, Yaroslav Abaimov.
Timur Zangiev concorre a non calare il poker, con una direzione precisa ma metronomica, che regala il meglio di sé nei ballabili.
Ottimo successo nel finale.
Raffaello Malesci (Martedì 11 Marzo 2025)