Recensioni - Opera

PICASSO E I BALLETS RUSSES DI DIAGHILEV A VERONA

La riproposta degli storici balletti con scenografie di Picasso chiude la stagione di danza al Teatro Romano

Ricorrendo quest’anno il centenario della compagnia dei Ballets Russes di Diaghilev, anche Verona ha voluto rendere omaggio all’impresario che ha saputo rinnovare il balletto senza tuttavia rompere del tutto la tradizione e riuscendo a mantenere altissimo anche il livello tecnico. Diaghilev gettò le basi per un terreno fertilissimo, facendo collaborare tra loro i più importanti artisti dell’epoca nei rispettivi campi: Ravel, Debussy, Satie e Stravinskij per la musica, Matisse, Bakst e Picasso per scene e costumi e naturalmente Anna Pavlova, Léonide Massine e Vaslav Nijinsky per la danza.

Picasso, uno dei pochi artisti che ha conosciuto il successo già in vita e che è sempre stato abile nel capire da che parte tirava il vento, fu “incastrato” da una ballerina: tra le tante donne che lui aveva presentato alla famiglia come sue fidanzate e future mogli, Olga Koklova fu l’unica che nel 1918 riuscì a farsi sposare e dalla quale ebbe l’unico figlio legittimo, Paul nel 1921.
Ucraina di nascita e di dieci anni più giovane del pittore, la Koklova doveva avere decisamente un carattere determinato, tanto che riuscì ad obbligare Picasso a sposarla con rito cristiano ortodosso. Per entrambi forse il matrimonio fu di convenienza più che di amore: Olga era ormai stanca delle faticose tounées ed aveva ben chiaro che le sue doti non le avrebbero mai permesso di raggiungere la categoria di prima ballerina, pur tuttavia grazie alle conoscenze strette con la compagnia di Diaghilev manteneva buoni rapporti con persone prestigiose quali principi, principesse e ricchi borghesi europei e quindi in questo senso per Picasso rappresentava un buon partito.
Per i Ballets Russes Picasso lavorò a sette balletti: Parade (1917), Le Tricorne (1919), Pulcinella (1920), Cuadro Flamenco (1921), L’Après-Midi d’un Faune (1922), Mercure (1924) e Le Train Bleu (1924).
Dei brani rappresentati al Teatro Romano solo Parade e Cuadro Flamenco sono stati ricostruiti filologicamente: le scenografie sono state proiettate sullo sfondo anche se non lo riempivano completamente.
Si può solo lontanamente immaginare quale impatto potesse avere un balletto come Parade sullo spettatore nella Parigi della prima guerra mondiale. Il balletto in realtà ha una trama esile: un gruppo di artisti da music-hall si esibisce fuori dal proprio teatro per attirare gli spettatori. Dei i sei pezzi rappresentati, particolarmente riusciti sono stati quelli della “bambina americana” magnificamente interpretata da Stefania Mancini e quello del cavallo, assolutamente divertente e fuori dal comune: piccoli pas de chat laterali finiti con pose flex, balances e l’andatura a piccoli salti paralleli con pause al “4” conferivano all’animale una simpatia intrinseca.
Sia Pulcinella che Mercure sono stati messi in scena con nuove coreografie, rispettivamente di Ana Maria Stekelman e Thierry Malandain, anche se quella di Pulcinella è stata decisamente più riuscita ed apprezzata proprio perché la coreografa ha rotto del tutto con la tradizione ed ha impostato una serie di passi che, partendo dal bagaglio del classico, interferivano ora con il contemporaneo ora con il modern.
Bravi, giovani e decisamente tecnicissimi quasi tutti e diciotto i danzatori: dodici per il classico e sei per il flamenco. Alcuni di loro hanno avuto qualche titubanza più legata alla giovane età e al repertorio inusuale rappresentato, ma le doti di ciascuno lasciano buoni margini alle future capacità di miglioramento.


Sonia Baccinelli 27 agosto 2009