Recensioni - Opera

Parma: Gregory Kunde trionfa in Pagliacci

Vivissimo successo dell'opera di Leoncavallo nell'allestimento firmato da Franco Zeffirelli

È un boato quello che travolge Gregory Kunde al termine dell’attesa (neanche a dirsi) “Vesti la giubba”. Un’onda di emozioni che si rifrange sulla scena, dopo essere approdata, proprio dalla scena, fino all’ultima poltrona in piccionaia. Al Regio di Parma, epilogo solitario di un cartellone che aveva promesso di abbinarlo, in singolare accoppiata, con Les Noces di Stravinsky, questi Pagliacci trovano, fino al prossimo 14 maggio, la torreggiante statura del tenore americano. A quasi 70 primavere, Kunde conserva buona traccia di quegli acuti svettanti, carnali, aurei che ne hanno fatto in mezzo secolo di carriera uno degli interpreti più eclettici ed intelligenti.

Alla seconda recita, non concede il tanto acclamato bis regalato alla Prima. Ma il suo Canio, che qui brucia l’intera sua esistenza in un’unica vampata, senza ripetersi, lascia intravedere, con lo scavo introspettivo che è solo dei grandi, con il fraseggio levigato che entra nella parola e la canta sino alla sua radice, il profilo sfaccettato di un uomo sull’orlo della propria fine. Il volto e la maschera, il trucco e lo sguardo vuoto di chi più non sogna, il nulla che si fa largo nell’impietoso monologo interiore e che già lascia presagire il tragico finale di una triste, stanca commedia ora non più perpetuabile. Leoncavallo, con un pennino para-verista che in realtà è quanto di più sottile ed insinuante si possa immaginare, ne segue il personaggio e lo conduce a questo punto di non ritorno in cui la vita smaschera l’arte e ne snuda i mostri. Come a dire: ciò che vedete non è finto. È semplicemente, intollerabilmente falso. E se il primo affascina e fa sognare, il secondo genera mostri. Chi lo direbbe, ad osservare questo capocomico aggirarsi nelle scene iniziali in abito bianco, panama e sigaro, sicuro e spaccone tra le polverose strade di una periferia che Franco Zeffirelli (ripreso da Stefano Trespidi), omaggiato nel centenario della nascita , evoca in questa datata regia che, anziché tramontare, sembra continuamente pungolarci. Abile venditore di desideri, con la sua baracca ambulante, si muove come un pifferaio magico, trascinando al suo seguito un’umanità che, all’aprirsi del sipario, lascia senza fiato: scugnizzi e lavandaie, operai e tossici, prostitute della porta accanto e divoratori di telenovele. Tutti affacciati ai balconi – alveari di un immenso fatiscente formicaio, tra infiniti fili di panni stesi, materassi abbandonati su cui rubare una disperata ora d’amore o stordirsi di stanchezza fino all’indomani, copertoni ammucchiati come relitti. Tutti in cerca di un antidoto al destino.

La folla colorata e chiassosa, ma anche l’ingenua compagnia di giro, a sua volta in fuga dai propri fantasmi, a sua volta imprigionata in quella terra di nessuno che è un palco troppo stretto e misero per contenere i sogni. La Nedda di Valeria Sepe, intensa e sanguigna nella sua vocalità tornita, è un connubio di cinismo e di inconfessabili, teneri rovelli. A contrappuntarla, perfettamente calibrato nel dare giovinezza, ardore e smaltata grossolanità al suo personaggio, è il Silvio di Alessandro Luongo, intrepido quanto commovente nel disperato tentativo di salvare l’amata dal coltello fatale di Canio. Solitaria e sostanzialmente priva di approdi è la sagoma che un sempre avvincente Vladimir Stoyanov plasma addosso al suo Tonio. Faticosa negli acuti, piuttosto statica nella rifinitura di alcune sfumature emotive ma, al tempo, sorprendentemente raffinata per i panni dello scemo reietto, intimamente aristocratica, glaciale nel ghigno vendicativo di innamorato respinto, che della vicenda costituisce il colpo di revolver. In buca, alla testa della Filarmonica dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini, la bacchetta veemente di Andrea Battistoni appare piuttosto greve nel calibro e non sempre capace di tradurre appieno la cangiante scrittura in un’altrettanto mobile resa drammaturgica.

Applausi, ancor più vivi del solito, al coro del Teatro istruito da Martino Faggiani e al coro di voci bianche preparato da Massimo Fiocchi Malaspina. A completare l’incanto, mangiatori di fuoco, saltimbanchi, giocolieri autentici. Capaci di rubare il cuore, prima che lo spettacolo cali il suo tragico sipario. Domenica 14 maggio, alle ore 15.30, l’ultima recita.