Recensioni - Opera

Parma: L'elegante e stilizzato Rigoletto dei giovani

Dopo la lunga interruzione dovuta all'emergenza Covid, il Teatro Regio riprende l'attività con lo spettacolo Rigoletto al barsò all'Auditorium Paganini

L’ingresso è quello laterale, prospiciente sul Parco dell’Auditorium Paganini catturato negli ultimi barbagli di sole, prima che la sera cali su Parma. Da lì, lo scorso 29 giugno, una timida processione si snodava lungo il viale; tanti visi noti, risucchiati insieme alla quotidianità nel silenzio di giornate di piombo ed ora riaffioranti insieme alla promessa di una ripartenza. Non in teatro, non nell’imponente ex zuccherificio convertito da Renzo Piano in cattedrale della musica, ma all’aperto, rigorosamente distanziati, rivolti verso quel francesizzante bersò – pergolato solitamente rivestito dall’ornamento di rampicanti in fiore – che in parmigiano ha cambiato di vocale a favore di un più colorito barsò.

Presenze lontane dai numeri abituali della gloriosa stagione lirica al Regio, neanche a dirlo, ma qui ancor più preziosi a sottolineare la volontà di rinascita di una città attraverso il ritorno ai suoi riti identitari. Una volontà incrollabile, capace di venire a patti con le mille e ancor mille restrizioni che l’emergenza sanitaria impone nella vita quanto nell’arte. Per questo singolare Rigoletto verdiano, che un cast di belle realtà emergenti proporrà a ritmo serrato fino al prossimo 16 luglio, distanziati erano anche i musicisti – un’Orchestra Toscanini ridotta ai minimi termini – e soprattutto gli interpreti, costretti ad amarsi, odiarsi, persino ad uccidersi senza potersi sfiorare. Il tutto nel vuoto di una scena che la regia di Roberto Catalano costruiva, passateci il verbo, sulla sottrazione più radicale: solo quattro fari mobili, azionati ad incorniciare e a ridefinire lo spazio – giocoforza asfittico - entro cui i personaggi avrebbero ordito la loro tela di amore e di morte. Attorno, niente. Solo lo scheletro nero dell’Auditorium, tra cemento e vetrate, e la notte. Un Rigoletto “giacomettiano” e per diversi aspetti cameristico, dolorosamente scarnificato fino al limite estremo della sua essenzialità, con qualche inevitabile taglio alla partitura e quattro sole voci a rappresentare, velenoso contrappunto alle angosce del gobbo buffone, la “dannata vil razza” della corte gonzaghesca.

La lettura di Alessandro Palumbo, chiamato sul podio all’eroica impresa di rievocare – nella dispersione acustica dello spazio aperto - linee ed ombreggiature degne di una compagine a pieni ranghi, ha saputo valorizzare le risorse a disposizione e rigiocarle con pregevole intelligenza, disegnando un Rigoletto nitido nella pronuncia e discretamente articolato nei fraseggi, capace di trovare una tinta convincente pur nella limitata escursione dinamica dello strumento a disposizione. Nel suo gesto, la stessa elegante essenzialità – depurata da ridondanze e usurati vizi - che si percepiva nelle voci, prima su tutte quella, pulita e precisa, di Giulia Bolcato, Gilda per una volta non stucchevolmente bamboleggiante ma sinceramente calata nell’amore acerbo ed idealizzato che le farà sussurrare un magnifico “Caro nome”, prima di convincerla a gettarsi al suo posto nelle braccia della morte. Non da meno erano il Rigoletto – al tempo asciutto ed autorevole, dignitosamente misurato anche nei passaggi più concitati - di Federico Longhi, a proprio agio nei panni dello straziato padre, ed il Duca di Mantova impersonato con smalto e complessiva credibilità da David Astorga. Magnifico, infine, per precisione, classe, perfetto equilibrio tra spietato cinismo e nobile, ossequiosa arte sicaria, lo Sparafucile brunito di Andrea Pellegrini, accolto a fine recita da calorosi applausi insieme alla brava Maddalena di Mariangela Marini (impegnata anche nel breve ruolo di Giovanna).

Cronaca di una serata di musica ai tempi del covid, con il vento alzatosi all’unisono a contrappuntare quasi per incanto l’incombere della tempesta e del delitto. Colpo di genio della natura, qui vera regista dello spettacolo. “Siamo qui per fare di un tempo di difficoltà un seme di opportunità”, da detto in apertura un’emozionata Anna Maria Meo – Direttore Artistico del Teatro Regio. Andate a vederlo. Questo Rigoletto della rinascita merita una passeggiata nel parco.