Recensioni - Opera

Parma: Luisa Miller, opera cantiere in un cantiere

La chiesa di San Francesco del Prato, nuovo spazio teatrale scelto dal Festival Verdi, ha ospitato un’interessante edizione della partitura verdiana.

Quindicesimo titolo del catalogo di Giuseppe Verdi, Luisa Miller è un’opera spartiacque tra i cosiddetti “anni di galera”, di cui rielabora diverse soluzioni precedentemente utilizzate, ed il periodo dei capolavori. Infatti solo Stiffelio la separa da Rigoletto, primo tassello della Trilogia popolare. In questo terzo incontro con Friederich Schiller, Verdi si confronta con un dramma borghese, ricco di passioni, che gli permette di sviluppare la psicologia individuale dei suoi personaggi, intraprendendo un percorso che proseguirà con Stiffelio e troverà massima espressione in Traviata. Ma anche dal punto di vista musicale l’opera riserva novità interessanti, a partire dalla sinfonia, che, basata su un solo tema, sfrutta il linguaggio del classicismo viennese; soluzione che tornerà in molti lavori della maturità. È quindi singolare che per una tale “opera cantiere” Il festival Verdi abbia scelto proprio il cantiere della chiesa di San Francesco del Prato, spazio non teatrale che ha sostituito il Teatro Farnese e per i prossimi tre anni sarà uno dei luoghi in cui verranno eseguite le opere del maestro di Busseto (per il 2020 è già stata programmata l’edizione francese di Macbeth).

Iniziata nel XIII secolo la Chiesa appartenne all’ordine francescano fino alla conquista napoleonica, quando venne trasformata in carcere, funzione che mantenne fino al 1992. In tempi recenti è iniziato un lavoro di restauro che intende riportare la chiesa alla sua originale funzione liturgica. Per questo motivo attualmente la navata è totalmente rivestita di ponteggi. Ed è proprio all’interno di questo cantiere che il regista Lev Dodin ha ambientato questa nuova produzione di Luisa Miller, supportato dalle scene essenziali di Aleksandr Borovskij, autore anche dei costumi, e dalle belle luci di Damir Ismagilov.
Il regista russo ha colto l’essenza del dramma borghese, ambientando la vicenda all’interno dell’abside e sistemando il coro sullo sfondo, immobile, ingabbiato all’interno dei ponteggi, mentre sulla scena i protagonisti, che rimanevano sempre a vista, cristallizzati in tableaux vivents quando non erano loro ad agire, si muovevano con gesti misuratissimi, quasi impercettibili. L’unica vera azione attorno cui si è dipanata la regia, è stata la costruzione di un praticabile che nell’ultimo atto è diventato la tavola del banchetto, durante il quale Rodolfo non ha avvelenato solo il vino di Luisa, ma quello di tutti i commensali, che al termine dell’opera si ritrovano accasciati, al termine di una festa di morte. Una lettura nel complesso coerente, la cui efficacia cresce durante lo svolgimento del dramma.

Francesca Dotto ha fatto sfoggio di un bel timbro di soprano lirico e disinvoltura nelle agilità. La sua è una Luisa ricca di accenti e sfumature che le permettono di creare un personaggio maturo e consapevole nonostante la giovane età. Ottima anche la prova di Franco Vassallo nel ruolo di Miller, padre partecipe ma mai oppressivo, che si è distinto per timbro morbido e fraseggio curatissimo. Il Rodolfo di Amadi Lagha, pur avendo voce robusta e una buona salita all’acuto, mostrava qualche incertezza nel registro centrale che ne penalizzava il fraseggio. Gabriele Sagona si è disimpegnato egregiamente nel ruolo del torvo Wurm, mentre il Walter di Riccardo Zanellato sembrava non possedere il giusto peso vocale, penalizzato forse anche dell’acustica del luogo. Buone le prove di Margherita Belli (Federica), Veta Pilipenko (Laura) e Federico Veltri (Contadino).

Roberto Abbado ha optato per una lettura raffinata, quasi intimista, ricca di accenti e sfumature, abbastanza distante dal Verdi risorgimentale che di solito caratterizza le interpretazioni di questa partitura. Una lettura che in parte pagava lo scotto di uno spazio in cui il suono arrivava comunque nitido e senza riverberi ma un po’ lontano e affievolito, nonostante, almeno nella posizione in cui ci trovavamo, l’acustica della chiesa si sia rivelata superiore alle aspettative. Encomiabili le prove di Coro e Orchestra del Teatro Comunale di Bologna.
Al termine un caloroso successo ha salutato tutti i protagonisti della serata.