Recensioni - Opera

Parma: tutti i naufraghi di Nabucco

Stefano Ricci e Giovanni Forte firmano una regia stimolante e innovativa, anche se non completamente risolta, dell’opera verdiana. Eccellente il versante musicale

Nessuna vera contestazione ha caratterizzato alla fine la quarta replica di Nabucco di Giuseppe Verdi nell’allestimento firmato Ricci/Forte, proposto al Festival Verdi di Parma, a riprova (se mai ce ne fosse stato bisogno) che il pubblico del Teatro Regio è meno tradizionalista e reazionario di quanto si voglia far credere e che certe intemperanze appartengono più a uno sparuto di frequentatori delle prime, che ai veri spettatori. Inoltre un festival, se vuole definirsi tale, deve necessariamente proporre allestimenti che guardino avanti, e si confrontino con la contemporaneità, altrimenti non sarebbe più festival ma museo. E poi, per gli amanti degli spettacoli più classici, il festival offriva in contemporanea a Busseto la bellissima Aida di Franco Zeffirelli, prezioso cameo incastonato nell’arte della tradizione.

L’interessante progetto drammaturgico di Stefano Ricci e Giovanni Forte trasferisce la vicenda in un futuro prossimo, precisamente nel 2046, caratterizzato da una società totalitaria in cui gli ebrei, raffigurati come naufraghi, rappresentano l’umanità che viene “salvata” ma allo stesso tempo soggiogata da un regime dittatoriale. Simbolo di questa società è infatti una grossa nave disegnata da Nicolas Bovey su cui si svolge l’intera vicenda.
La regia strizza l’occhio ai grandi capolavori della letteratura distopica quali 1984 e Fahrenheit 451, cogliendone alcuni spunti: la cultura viene bandita ed i libri epurati dalle pagine più scomode e in tutta l’opera è presente uno schermo con l’immagine del dittatore di turno, Nabucco o Abigaille, a seconda, ai cui dettami tutti devono omologarsi, pena l’esclusione dalla società.
L’opera inizia con una scena mozzafiato in cui sulle note de “Gli arredi festivi” il coro viene sballottatto qua e là sul palcoscenico, per poi venire schedato e privato di ogni individualità. Ma sono molte le immagini che restano impresse nella memoria: Abigaille, novella Evita Peròn, che, davanti alle telecamere, recita la parte della filantropa, distribuendo regali di Natale; alcuni ebrei in tela cerata che, sulle note di “Tu sul labbro de’ veggenti”, fanno spiccare il volo ai libri, libri a cui si aggrappano gli ultimi diseredati in “Va pensiero”, ambientato nel magazzino delle opere d’arte depredate da Abigaille in cui troneggia il Mosè di Michelangelo.
In sostanza uno spettacolo stimolante ricco di idee, che ha il merito di reinventare in maniera credibile un titolo di grande repertorio, anche se in alcuni casi si ha l’impressione che queste idee vengano accennate ma subito dopo accantonate, per lasciare lo spazio a idee nuove. Una regia che procede quindi per accumulazione, aprendo forse troppe porte, che il finale, in cui Abigaille si suicida impiccando una sorta di suo doppio (ma perché, dato che il tema del doppio non è mai stato affrontato prima?), non sembra chiudere veramente.

Di grandissimo valore l’aspetto musicale, a partire dalla direzione di Francesco Ivan Ciampa che, alla testa della Filarmonica Arturo Toscanini e dell’Orchestra della via Emilia, in forma decisamente migliore rispetto ai Due Foscari, ha saputo coniugare gli ardori del Verdi giovanile con una lettura estremamente articolata e ricca di sfumature. Il suo Nabucco si distingue per la scelta delle dinamiche e per la capacità di mantenere ben saldo il filo della narrazione, pur approfondendo nel dettaglio la partitura, eseguita in edizione critica.  Il Coro del Teatro Regio, diretto da Martino Faggiani ci ha abituati ad esecuzioni di grande livello, ma in quest’opera, di cui è il vero protagonista, la sua prestazione è stata veramente eccezionale, per compattezza, precisione ed espressività; dalle tragiche deflagrazione de “Gli arredi festivi” al mesto raccoglimento di “Va pensiero” (chi scrive non ama particolarmente i bis in teatro ma in questo caso è stato sacrosanto).

Amartuvshin Enkhbat è un Nabucco dalla voce prodigiosa, cui si sposano un timbro morbidissimo ed una solida linea di canto, che hanno contribuito a nobilitare pagine quali “Deh perdona” e  “Dio di Giuda”.  Il soprano Saioa Hernández, dopo i recenti successi nei ruoli di Odabella e Lady Macbeth, si conferma interprete di riferimento in questo repertorio. Centri pieni, acuti svettanti e fraseggio raffinato contribuiscono a delineare un’Abigaille proterva e vulnerabile allo stesso tempo.  Rubén Amoretti è uno Zaccaria che compensa un timbro spigoloso con una linea di canto ferma e solida ed un’interpretazione credibile e partecipe. Ivan Magri è un Ismaele dal timbro squillante mentre Annalisa Stroppa è una Fenena di gran lusso.

Al termine, anche gli ultimi spettatori perplessi, che nel corso dei cambi scena si erano lasciati andare a qualche commento a voce alta e qualche risatina, devono essersi ricreduti, poiché dal pubblico che esauriva il Teatro Regio sono arrivati solo applausi incondizionati.