
Simbolica ed emozionante edizione del capolavoro wagneriano
Ritornano gli appuntamenti pasquali per il festival tirolese di Erl, con una riuscita messa in scena di Parsifal di Richard Wagner, affidato alla bacchetta di Asher Fisch e alla regia di Philipp M. Kren. Protagonista molto atteso il tenore Jonas Kaufmann.
Spettacolo simbolico, lucido e ben organizzato quello di Philipp M. Kren, che opta per una scena evocativa, tutta giocata sui toni del bianco, con al centro una piscina che richiama un costante anelito alla purificazione. Heike Vollmer crea una scena fatta di grandi pannelli astratti, quasi vele architettoniche, che permettono di disegnare vari ambienti e di essere spostati durante le scene. Parte fondamentale sono anche i video a cura di Thomas Achitz, che, presenti fin dal preludio, compongono una sorta di cammino parallelo e meta teatrale di Parsifal/Jonas Kaufmann fra i prati di Erl e l’interno spoglio dei due teatri, che ormai caratterizzano la piccola cittadina austriaca: il Passionspielhaus (Teatro della passione) e il Festspielhaus (Teatro del Festival), dove si svolge la rappresentazione. I video ritornano in maniera costante durante lo spettacolo, a formare una sorta di inseguimento fra Parsifal e Kundry: rincorsa di sguardi fra palchi, platee e scenografie, in un percorso di formazione che non è solo simbolico ma anche innervato di teatro e di contemporaneità.
Per il resto l’azione è rigorosa, ove il regista lascia parlare la musica nelle lunghe scene di Gurnemanz, per poi utilizzare copiosamente la piscina in cui Kundry e Amfortas si immergono ripetutamente in cerca di sollievo e purificazione. La regia asseconda i ritmi ieratici della partitura, sfruttando una compagnia di canto in grado di reggere la scena con pochi gesti e grande magnetismo. Parsifal arriva in vestiti contemporanei, una tuta e jeans scuri, e sembra passato di lì per caso. Deboli nel complesso i costumi di Regine Standfuss. Da lì procede il suo percorso di formazione, che lo porterà nel terzo atto a trasformarsi e ad adottare come tutti gli altri un costume bianco nel momento in cui anch’egli cercherà il sollievo dell’acqua della piscina magica o del fonte battesimale, a seconda della lettura più o meno religiosa che si voglia dare alla partitura.
Molto riuscita la scena finale del primo atto con una processione eucaristica di bell’impatto, così come ben organizzato il secondo atto, con una buona resa della complessa scena delle Fanciulle Fiore. Ma il regista riserva l’idea migliore, la più pregnante ed esplicativa, per il finale: in cui il coro, trasfigurato nella contemporaneità torna ai panni di normali cittadini, scende lentamente fra il pubblico a simboleggiare la comunità artistica e umana del Gesamtkunstwerk wagneriano. Contemporaneamente l’orchestra si innalza dalla buca e raggiunge lentamente il livello del palcoscenico, fondendosi con la comunità degli spettatori. Scena riuscita ed emozionante, di cui è chiara la simbologia: oggi il Graal per la comunità artistica di pubblico e interpreti, per gli adepti di una religione umanistica, è la musica. Parsifal resta sullo sfondo, si vede il teatro spoglio con i suoi macchinari e i suoi segreti. Resta la musica, il Graal che può salvare una società che sembra aver perso la propria direzione. Scena semplice e pregnante: sublime.
Asher Fisch è decisamente più a suo agio con Wagner che con Puccini, e regala al pubblico una lettura ieratica della partitura wagneriana, riuscendo ad ottenere dall’orchestra del festival un suono pieno e turgido, con tempi giusti e solenni.
Superlativa e ai massimi livelli la compagnia di canto. Jonas Kaufmann, pur nell’infelice costume, incarna un Parsifal perfetto, febbrile e disorientato, che giunge nel terzo atto alla consapevolezza, con gesti che si fanno via via più controllati e solenni. La voce è cesellata sulla parola con la usuale maestria, svetta con facilità all’acuto, sfuma con nonchalance in mezze voci autorevoli e modulate.
In grande spolvero e tutti bravi i bassi e baritoni. Sonoro e imponente il Gurnemanz di Brindley Sherratt. Il basso inglese è dotato di voce potente e armonica in tutti i registri, di un timbro luminoso e accattivante che piega con facilità alle difficili esigenze della partitura. Una grande prova per lui.
Non da meno l’Amfortas di Michael Nagy, che svetta con facilità sopra il fiume sonoro dell’orchestra e regala un personaggio tormentato e dolente. La voce è perfetta, omogenea, potente e controllata. Clive Bayley è un Titurel di gran lusso, mentre Georg Nigl un Klingsor di caratterizzata perfidia, con voce tonitruante e ben proiettata.
Il soprano americano Irene Roberts è stata una Kundry convincente sia vocalmente che scenicamente: voce piena, facile all’acuto, ottimo fraseggio e grande disinvoltura.
Superbo e professionale anche tutto il resto del numeroso cast: Marius Pallesen, Lukas Enoch Lemcke, Annina Wachter, Maya Gour, Hyunduk Kim, Lukas Siebert, Stefani Krasteva, Zoe Hippius, Evelina Liubonko, Karis Tucker.
Un piccolo inghippo tecnico ha fermato la rappresentazione nel secondo atto all’apparizione delle Fanciulle Fiore, ma la cosa è stata prontamente risolta.
Grande emozione nel finale, che si è sciolta in un uragano di applausi per tutto il cast, con ovazioni per Jonas Kaufmann.
Raffaello Malesci (Domenica 20 Aprile 2025)