Recensioni - Opera

Peccato che sia una sgualdrina: amore e morte negli ultimi foschi fuochi del teatro elisabettiano

John Ford, di vent’anni più giovane di Shakespeare, è esponente tardivo del grande teatro elisabettiano e ne accentua nei suoi drammi il gusto per l’eccesso, per il sangue e per gli effetti macabri.

Per la terza proposta della stagione di prosa veronese al teatro Nuovo viene ospitato “Peccato che sia una sgualdrina” di John Ford, prodotto dal Teatro stabile del Veneto e dal Teatro Stabile di Palermo per la regia di Luca De Fusco.  

John Ford, di vent’anni più giovane di Shakespeare, è esponente tardivo del grande teatro elisabettiano e ne accentua nei suoi drammi il gusto per l’eccesso, per il sangue e per gli effetti macabri. 

 

In “Peccato che sia una Sgualdrina” infatti si narra la tormentata storia dell’amore incestuoso fra due fratelli, Giovanni e Annabella, che travolti dalla passione vivono il loro sentimento di amore. La donna rimasta incinta è costretta a sposare un suo pretendente che però scoperto il suo stato medita una atroce vendetta durante una festa appositamente organizzata. Giovanni venuto a conoscenza di questi propositi preferisce uccidere la sorella e strappatone il cuore dal petto lo mostra agli invitati. Il vecchio padre ne muore di crepacuore, ne sortisce un duello in cui Giovanni uccide il marito della sorella per poi essere a sua volta ucciso a tradimento da un servo. Impossibile non notare un certo rimando ironico ad alcune situazione del teatro di Shakespeare, soprattutto a Romeo e Giulietta. In questo caso l’amore puro e innocente viene ribaltato in un amore incestuoso, così come la nutrice di Annabella, da Ford chiamata Putana, risulta essere più che una buona consigliera una mezzana di bassa lega. Se contiamo che durante lo svolgimento del dramma vengono uccisi almeno altri due personaggi comprendiamo quanto l’autore punti sul grand guignol e sul facile effetto.
Nonostante ciò il dramma ha uno svolgimento lineare e risulta incredibilmente teatrale  e verosimile nella messa in scena rispetto alla sua lettura a tavolino. Grande merito va alla regia serrata e sobria di Luca De Fusco che inquadra la scena su di una pedana a specchio che rimanda allo spazio scenico elisabettiano, utilizzano poi un semplice fondale sempre a specchio su due livelli. Le scene si succedono rapidamente con veloci entrare e uscite affidando il procedere della storia esclusivamente alla drammaturgia di Ford senza aiutarsi con appigli scenici. Il regista ha il merito di aver sapientemente asciugato il testo e di aver ben diretto gli attori, sempre tutti in parte e credibili, salvo alcune scelte stilisticamente poco felici forse dettate dalla volontà di alleggerire il dramma giudicato eccessivamente cupo. Ci riferiamo alla scelta di dare a Ricciardetto più le caratteristiche del comico che del drammatico e di rendere le pur brevi apparizione del cardinale di Parma troppo macchiettistiche. Per il resto si apprezza una regia che tiene incollato lo spettatore alla sedia per tutta l’ora e quaranta minuti che dura l’atto unico. Le belle scene sono di Antonio Fiorentino e i costumi d’epoca giustamente stilizzati e con accenni di elaborazione contemporanea sono di Maurizio Millenotti.
Per quanto riguarda la recitazione abbiamo trovato la compagnia affiatata e dotata di un registro univoco e coerente. Su tutti spicca sicuramente la Annabella di Gaia Aprea che riesce sempre a trovare i giusti accenti in bilico fra la spensieratezza giovanile e la disperazione del dramma che il suo personaggio sta vivendo. Una grande prova per lei. Altra grande prova per Giovanna Mangiù alle prese con il ruolo en travestì dell’idiota Bergetto, reso con una giovanile esuberanza da giamburrasca e con accenti comici e spassosi calibratissimi, fino ad una morte resa con commovente stupore. Veramente un ruolo a tutto tondo per lei. Fisicamente molto in parte ma a tratti monocorde il Giovanni del pur bravo Stefano Scandaletti. Ottimo anche il Soranzo di Max Malatesta, attore di grande impatto comunicativo anche se a tratti sopra le righe nei movimenti. Giustamente diabolico e dagli ottimi e vari accenti il Vasquez di Enzo Turrin che riesce a plasmare la voce in accenti lievi e di calcolata perfidia. Vanagloriosa ed esteriore la nutrice della brava Anita Bartolucci. Spingono un po’ troppo su una lettura esteriore del dramma sia Paolo Serra che interpreta Ricciardetto con accenti di eccessivo carattere che Alvia Reale una Ippolita fastosa ma esasperata nel suo odio troppo manierato. Completano il cast Piergiorgio Fasolo che interpreta un enfatico Frate Bonaventura e un Cardinale completamente fuori luogo, Alberto Fasoli che da vita ad un corretto Florio e Matteo Mauri decisamente sotto tono come Grimaldi, inespressivo e basso di voce.
Vivo e meritato successo per tutto l’ensemble con numerose chiamate alla ribalta. Il pubblico, non eccessivamente numeroso, ha mostrato di gradire molto lo spettacolo, pur avendo rumoreggiato all’inizio per il ritardo di 20 minuti con cui è iniziata la rappresentazione.

 


R. Malesci (17/12/08)