Recensioni - Opera

Pesaro: Zelmira apre il Rossini Opera Festival

Come ogni estate che si rispetti, agosto è il mese del Rossini Opera Festival, giunto all'edizione numero quarantasei

L'apertura è affidata ad una nuova produzione. In scena c'è Zelmira, un'opera in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola derivante da "Zelmire" (tragédie en cinq actes messa in scena ad Avignone nel 1762 dallo scrittore francese Dormont de Belloy) e che sugella la fine della stagione napoletana del compositore. Venne rappresentata per la prima volta al San Carlo di Napoli il 16 febbraio 1822.

Viene proposta nella versione viennese, l'edizione critica è quella della Fondazione Rossini di Pesaro (in collaborazione con Casa Ricordi di Milano, a cura di Helen M. Greenwald e Kathleen Kuzmick Hansell).

La regia è di Calixto Bieito, noto per i suoi spettacoli bizzarri, fuori dagli schemi, che si lasciano dietro sempre accese polemiche. Bieito non è più il provocatore di una volta e punta ad uno spettacolo lontano dal libretto e impegnativo da seguire, visto che sfrutta tutto lo spazio possibile per far recitare i cantanti in modo frenetico, dando a volte le spalle al pubblico e creando qualche squilibrio sonoro.

Il palcoscenico dell'Auditorium è formato da un grande rettangolo che sembra una scacchiera di vetro. Al centro è posizionato l'orchestra, la pedana in alcuni momenti si apre in due parti ed è formata da alcune vasche riempite di acqua (elemento purificatore) e di terra (elemento che nasconde), con un elegante gioco luci di Michael Bauer. Le scene curate dallo stesso regista con Barbora Horáková sono praticamente spoglie, arricchite solo da alcuni elementi di arredo e di ornamento, come le piccole statue, i vasi, le colonne e la lunga sfilata di elmetti.

I costumi di Ingo Krügler sono atemporali, a volte eccessivi. Zelmira ha un abito regale nero e in alcuni momenti veste un look battagliero, Ilo è un reduce di guerra provato fisicamente e mentalmente, Polidoro ricorda il commendatore nel Don Giovanni, Antenore e Leucippo hanno un rapporto amoroso e parecchio morboso, Emma anche lei perennemente in trench nero e stivali, Eacide un angelo ribelle, tatuato, che beve birra e si aggira sulle gradinate, il gran sacerdote invece sembra un lottatore di sumo con i capelli verde Joker.

A completare il quadro dei personaggi, il fantasma di Azorre (ucciso nell' antefatto da Antenore e Leucippo) perennemente in scena come presenza inquietante che assiste a tutta la vicenda (interpretato da Roberto Adriani) e il figlio di Zelmira (Edoardo Maria D'Angelo).

Dal punto di vista musicale, ritorna con piacere l'Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta con ottimi risultati da Giacomo Sagripanti. Il maestro ha saputo cogliere tutta la bellezza della partitura, levigando sia le sonorità più drammatiche, che quelle squisitamente belcantistiche, valorizzando le bellissime parti soliste (oboe e arpa). Inoltre si è apprezzato il controllo assoluto delle voci, senza mai coprirle (nonostante gli ampi spazi), nelle singole arie e nei molteplici momenti d'assieme.

Bene anche il Coro del Teatro Ventidio Basso, diretto dal maestro Pasquale Veleno che pur con un numero non proprio elevato di elementi e spesso posizionato sulle gradinate, ha risposto con precisione nei suoi vari interventi.

Dopo il grandissimo successo di Ermione (fresco del Premio Abbiati) torna Anastasia Bartoli (presente al festival per il terzo anno consecutivo) nel ruolo della protagonista. Il soprano ha voce solida, sicura, armonica, uniforme nei registri, affronta le colorature con energia e fluidità, piegando la voce anche a delicate sfumature giocate sui pianissimi. Scenicamente sempre credibile a mostrare il tormento del suo personaggio. Molto intenso il duettino "Perché mi guardi e piangi" nel primo atto, bellissimo il finale con "Riedi al soglio".

Lawrence Brownlee è un tenore tipicamente rossiniano e lo dimostra con il suo notevole Ilo. Una parte decisamente impegnativa, ricca di fioriture, acrobazie, sovracuti (tantissimi i re toccati), trilli sin dalla cavatina iniziale “Terra amica” cantata con grande sicurezza. Il timbro è sempre elegante, morbido, delicato e la recitazione è partecipata.

Enea Scala (anche lui per il terzo anno al festival) è stato un ottimo Antenore. Vocalmente affronta con spavalderia questa tessitura da bari-tenore. La voce scorre con facilità, sempre proiettata bene, con una chiara dizione e una presenza scenica carismatica, da vero capriccioso assetato di potere. La difficile aria “Mentre qual fiera ingorda” viene eseguita a testa in giù nel finale e in altri momenti dimostra di saper cantare sempre bene, anche in posizioni non proprio comode.

Marina Viotti è una Emma quanto mai centrata, disinvolta in scena, dotata di un affascinante colore brunito e vellutato che mette in risalto nella bella aria “Ciel pietoso, Ciel clemente” (aggiunta proprio nella versione viennese). Marko Mimica dona la giusta nobiltà al personaggio di Polidoro con la sua voce scura e vibrante. Il Leucippo di Gianluca Margheri oltre a mostrare continuamente il suo fisico scolpito, è anche un ottimo cantante dalla voce piena e forgiata, che sa imporsi per la sua autorevolezza. Buone anche le prove di Paolo Nevi (Eacide) e Shi Zong (Gran Sacerdote).

Pubblico entusiasta, che ha salutato la recita con tantissimi applausi.

Peccato vedere l'Auditorium con parecchi posti vuoti. Scelta che ci auguriamo sia dettata dalla scarsa comodità della sala, che non dalla qualità (sempre alta) degli spettacoli.

Marco Sonaglia (Auditorium Scavolini-Pesaro 13 agosto 2025)