Recensioni - Opera

Prima del Barbiere di Siviglia diretta da Stefano Montanari nella suggestiva cornice delle Terme di Caracalla a Roma

Una interessante produzione del Teatro dell’Opera di Roma, con un Barbiere di Siviglia diretto dal Maestro Stefano Montanari, con la regia di Lorenzo Mariani, Roberto Gabbiani Maestro del coro, scene di William Orlandi, costumi di Silvia Aymonino e luci a cura di Linus Fellbom.

Tutti bravi gli interpreti, tra cui ricordiamo Markus Werba nel ruolo di Figaro, Renè Barbera nel ruolo del Conte di Almaviva, Cecilia Molinari come interprete di Rosina e Alex Esposito nella parte di Don Bartolo.

Una cornice straordinaria come le rovine delle Terme di Caracalla per una rappresentazione vibrante, energica, coinvolgente che ha entusiasmato il pubblico, come testimoniano gli applausi a scena aperta e al finale del secondo atto.

Il Maestro Montanari con la sua direzione precisa e incisiva è riuscito a bilanciare perfettamente la parte strumentale, molto ricca e versatile, con quella cantata, soprattutto nelle scene di insieme come il bellissimo finale del primo atto. In particolar modo ha sottolineato la parte ritmica dei bassi, arricchendo in questo modo la vivace orchestra rossiniana.

Figaro ha convinto per timbro e coloritura oltre che per presenza scenica. La celebre aria di introduzione è stata particolarmente trascinante. Ottimo interprete anche nei duetti (ad esempio nel duetto col conte, “All’idea di quel metallo”, oppure in quello con Rosina “Dunque io son…”). Anche il Conte di Almaviva ha mostrato il suo ottimo timbro e precisione nel fraseggio. In questa edizione non è stata, come di consueto, inserita la sua ultima aria ritenuta troppo difficile (Cessa di più resistere). Molto brava Rosina che ad una bella voce ha mostrato presenza scenica e grande tecnica nei fraseggi. Don Bartolo è stato un mattatore all’altezza di blasonati predecessori come anche Don Basilio che ha trascinato il pubblico nel crescendo della sua aria principale “La calunnia” o nel celebre quintetto “Don Basilio!”, particolarmente riuscito in questa edizione.

Molto bella la regia di Lorenzo Mariani arricchita anche da una interessante coreografia. Partendo dal giudizio che il celebre Stendhal ebbe ad esprimere sul teatro di Rossini definito come “una follia organizzata”, Mariani esce dagli schemi attingendo al mondo del musical e dei primi anni del cinema americano per creare una nuova forma di linguaggio moderno e rinnovato, ma rispettoso dello spirito originario rossiniano. In quest’ottica, la scenografia, sovrastata dalla gigantesca scritta californiana “Hollywood”, si richiama a diverse scene famose: da “Singing in the Rain”, ai numeri di tip-tap dei musical di Ginger e Fred, al linguaggio di Hellzapopin’ e dei Fratelli Marx di “Una notte all’Opera”. Il risultato finale è una regia molto movimentata con cambi di scena divertenti ed ingegnosi che enfatizzano il carattere giocoso dell’opera.

Nei primi anni del 1800 la musica europea veniva scossa da un vento italiano, a nome di un giovane Maestro pesarese chiamato Gioacchino Rossini, che con le sue opere liriche conquistava i cuori del pubblico dei principali teatri del continente, suscitando non qualche invidia, forse, da parte della critica musicale e di qualche compositore del nord. Si andava infatti affermando una visione della musica italiana come unicamente relegata all’ambito lirico, con un carattere essenzialmente elegante, di difficile esecuzione sì, ma fondamentalmente leggero e superficiale. Tutto questo in contrasto con la profondità, la disciplina, la cura delle forme musicali e dell’armonia della scuola del nord – ogni riferimento alla scuola musicale tedesca ed austriaca non è casuale. La grande tradizione della musica barocca italiana, da Vivaldi a Corelli, da Frescobaldi a Scarlatti, da Torelli ad Albinoni, veniva così del tutto dimenticata e parcheggiata sui polverosi ripiani delle biblioteche o dei teatri.

Critiche a Rossini furono mosse in più occasioni da compositori del calibro di Beethoven e Wagner. Anche critici musicali all’epoca influenti, come Amadeus Wendt, musicologo di punta che scriveva sulla Gazzetta Musicale di Lipsia edita da Breitkopf & Härtel, furono sostenitori di questa teoria. In questa luce di compositore comico venne quindi quasi sempre considerato il grande maestro pesarese, che in più occasioni se ne face una ragione, rispondendo alle critiche con un beffardo “Je suis né pour l’Opéra buffa!”.

Certamente questa identificazione di Rossini con l’opera buffa fu in modo sostanziale alimentata anche dall’enorme successo del Barbiere di Siviglia: l’unica sua opera a non essere mai caduta nell’oblio, anche se i primi passi furono un po’ incerti.

La vicenda è tratta del primo libro della trilogia di Figaro scritta nel 1775 dal drammaturgo francese Pierre Beaumarchais. La trilogia, costituita da “Il barbiere di Siviglia”, “Il matrimonio di Figaro” e “La madre colpevole”, era già nota al pubblico poiché Mozart ne aveva musicato un libro per la sua famosa opera Le nozze di Figaro nel 1786.

La prima assoluta del Barbiere fu messa in scena la sera del 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina di Roma. Questa nuova opera del compositore pesarese, appena 24enne, veniva ad inserirsi in un contesto musicale competitivo e turbolento. Nel 1782 Giovanni Paisiello, all’epoca influente compositore, aveva infatti scritto un Barbiere di Siviglia di notevole successo. Anche se era consuetudine “rubarsi” i libretti tra compositori, per qualche ragione Rossini evitò di confrontarsi in modo diretto con una figura così influente come Paisiello e decise di far riscrivere completamente il libretto, con inserimento di qualche nuova scena oltre a qualche piccola modifica nella trama. Anche il titolo fu cambiato in “Almaviva, ossia l’inutil precauzione”. Agli spettatori fu inoltre distribuito assieme al libretto un foglio con un “avvertimento” nel quale si cercava di far apparire il Barbiere di Rossini come un’opera molto diversa da quella del predecessore tarantino.

Purtroppo la prima fu un fiasco, anche se per ragioni diverse da quanto si potrebbe pensare: Rossini infatti aveva rifiutato una prima versione del libretto preparata dal poeta Jacopo Ferretti per scegliere poi la versione (che divenne definitiva) di Cesare Sterbini. Il cambio di libretto causò un notevole ritardo nella composizione dell’opera, che fu scritta in 21 giorni e quindi portata alla prima rappresentazione con poche prove e diversi problemi di esecuzione. Inoltre il Barbiere presentava alcune innovazioni rispetto alle opere tradizionali che inizialmente disorientarono il pubblico dei melomani. Ad esempio, la prima donna cantava a partire dal secondo quadro del primo atto invece che dal primo, come da consuetudine, o il tenore che cantava due arie di seguito. Tutti questi elementi messi assieme contribuirono al disastro iniziale, seguito però da un successo che divenne sempre più travolgente.

Negli anni le rappresentazioni del Barbiere a Caracalla hanno visto sempre il tentativo di rileggere la partitura in una chiave moderna ed inconsueta, almeno dal punto di vista della regia e della scenografia.

La prima rappresentazione a Caracalla risale al 1992, in occasione del bicentenario della nascita di Rossini, con la ripresa di una precedente regia di Carlo Verdone, molto tradizionale, ma adattata ed arricchita dalla presenza dei maestosi ruderi romani. Un cast stellare, che vide come direttore Claudio Scimone e artisti del calibro di Leo Nucci, Cecilia Gasdia e Ruggero Raimondi, garantì il successo della produzione.

La successiva rappresentazione, a cui peraltro si ispira lo spettacolo andato in scena martedì 2 agosto 2022, fu solo nel 2014, con la regia di Lorenzo Mariani. Questa rappresentazione disorientò la critica, ma fu molto apprezzata dal pubblico.

Altra rappresentazione a Caracalla nel 2016, nel bicentenario della prima al teatro Argentina del 1816, con una nuova produzione, affiancata da una parallela produzione rivolta ad un pubblico più popolare, denominata Figaro Opera Camion: un intero mini-palcoscenico su un camion, che portò il Barbiere nelle periferie vecchie e nuove della capitale, con la regia di Fabio Cherstich.

Nel 2020 ancora una nuova produzione, pensata per il distanziamento sanitario per via del Covid-19 e rappresentata negli enormi spazi del Circo Massimo, con le proiezioni di Giancarlo Toccafondo. Una produzione molto apprezzata, soprattutto per la scelta della compagine di artisti: Chiara Amarù nei panni di Rosina, Giorgio Misseri come Conte d’Almaviva, Davide Luciano come interprete di Figaro, Marco Filippo Romano come Don Bartolo e Basilio interpretato da Nicola Ulivieri.