Recensioni - Opera

Prospero visionario regista

Lettura metateatrale della Tempesta di Shakespeare, che ha inaugurato l’Estate teatrale Veronese nell’interpretazione di Giorgio Albertazzi

La Tempesta, (pen)ultimo testo di William Shakespeare, è da sempre considerato il suo testamento poetico: l’identificazione del Bardo di Stratford nella figura di Prospero, di quella di Ariel nella sua ispirazione e dei libri cui si fa riferimento nel corpus dei titoli scritti sino ad allora, appartiene ad una lettura critica ampiamente consolidata. Ed è proprio  questa la direzione che il regista Daniele Salvo intraprende nel nuovo allestimento dell’opera, che ha debuttato al Teatro Romano, inaugurando l’Estate Teatrale Veronese 2010: l’isola come una sorta di grande palcoscenico e Prospero regista-demiurgo di una grande finzione teatrale. Non a caso nel finale la bella scenografia di Alessandro Chiti si rivela come uno spaccato del Globe Theatre o di una delle tanti corti all’interno delle quali i King’s Men erano soliti esibirsi.

Visivamente lo spettacolo gioca su eccessi barocchi che, più che David Lynch, come dichiarato negli intenti programmatici del regista, a me hanno ricordato il Prospero’s Books di Peter Greenaway. L’insieme comunque risulta equilibrato ed efficace e può vantare momenti di grande suggestione, che sopperiscono ad un inizio un po’ lento e ad alcuni passaggi in cui, soprattutto nella prima parte, il ritmo tende ad incepparsi.
Perno attorno al quale ruota la produzione è il Prospero di Giorgio Albertazzi che, pur tradendo (ad esempio nella lunga scena iniziale) le 80 e più primavere, può contare sull’esperienza del grande mattatore, raggiungendo momenti di rara intensità: il monologo finale in cui si rivolge agli elfi ed agli spiriti della notte, complice  una regia efficacissima, da solo vale l’intero spettacolo.
Ottimi coabitanti dell’isola, all’altezza del loro signore e padrone, si sono rivelati il Caliban di Gianluigi Fogacci e la coinvolgente Ariel di Melania Giglio (che porrei un gradino sopra a tutti), i quali, nonostante le ingombranti maschere ed una recitazione marcatamente antinaturalistica, sono stati interpreti di grande intensità, senza mai scadere nella caricatura.
Convincente la prova degli altri membri della compagnia: dal Ferdinando di Tommaso Cardarelli,  all’Antonio di  Carlo Valli, all’Alonso di Massimo Cimaglia, al Sebastiano di Pasquale Di Filippo, sino all’eccellente Gonzalo di  Virgilio Zernitz. Accattivanti Marco Simeoli e Massimiliano Giovannetti nei ruoli di Trincùlo (la cui comicità giocava spesso sullo spostamento dell’accento) e Stefano, per i quali ancora una volta si è rivelata di grande efficacia la caratterizzazione napoletana creata da Eduardo de Filippo.
Unica perplessità il Ferdinando di Tommaso Cardarelli, la cui recitazione eccessivamente enfatica ed artificiale, strideva con la naturalezza e la fluidità esibite da Albertazzi ed in parte dalla Miranda di Roberta Caronia.
Nel complesso uno spettacolo dalle grandi suggestioni che il pubblico del Teatro Romano ha gradito, manifestando vere punte di entusiasmo.

Davide Cornacchione 16/07/2010