Recensioni - Opera

Quando la poesia non diventa prosa

Più che di rappresentazione, assistendo allo spettacolo, verrebbe da pensare ad una "narrazione della Croce": la poetica dell'auto...

Più che di rappresentazione, assistendo allo spettacolo, verrebbe da pensare ad una "narrazione della Croce": la poetica dell'autore si basa infatti sull'affidare il racconto della vita di Cristo alle persone che secondo i Vangeli hanno avuto esperienze dirette con lui, scegliendo perciò di non portare mai in scena il protagonista, che quindi è presente solo nella parola degli altri. La figura di Gesù ed il suo messaggio vengono riportati ed interpretati dalla gente comune e quindi semplificati, al fine di trasferire il messaggio evangelico in una dimensione laica, più umana.
Il rischio di un'operazione del genere è quello di risultare alla fine troppo semplicistici e di ridurre il tutto ad una narrazione forse ingenua e nulla più. Il poeta Raboni riesce in parte ad evitare questo tranello creando un testo estremamente musicale, in cui il senso spesso è secondario al suono, grazie alla scelta di un linguaggio semplice ma ricco di assonanze, soprattutto nelle scene corali (anche se quando ho sentito parlare di "summit" di sacerdoti non ho potuto trattenere un brivido di disapprovazione) che trasmette una sensazione di fresca spontaneità.
Purtroppo lo spettacolo visto a teatro non riesce a far emergere minimamente questo aspetto, quantomeno dal punto di vista della recitazione, visto che invece dal lato visivo vi è una maggiore coincidenza. Infatti la componente scenografica si basa su una struttura lignea estremamente semplice che all'inizio riempie la scena in modo quasi opprimente e che nel prosieguo scompare lasciando alla fine il palcoscenico del teatro completamente vuoto, in una progressiva "spoliazione" che dovrebbe simboleggiare una ricerca dell'essenzialità. A ciò si accompagna invece la scelta di utilizzare costumi dai colori estremamente vivi, che creano immagini che rimandano alla pittura trecentesca, grazie anche all'apporto di un sapiente uso delle luci che dà vita a quadri di grande suggestione (espliciti sono i riferimenti al ciclo di S. Francesco ad Assisi).
Il voler perseguire quest'idea di essenzialità anche nell'aspetto interpretativo non ha portato però ad un risultato altrettanto riuscito. Infatti questa scelta si è tradotta dal punto di vista registico in uno spettacolo sostanzialmente povero, monotono, privo di momenti veramente intensi. Ciò in parte è dovuto alla struttura stessa del testo, che, prediligendo la via della coralità, si sviluppa attraverso una serie di scene staccate che riassumono gli episodi salienti del Vangelo e non consente ad alcun personaggio uno spazio sufficiente a conferirgli un vero e proprio spessore, per cui alla fine la sensazione è quella di un carosello di figure bidimensionali che quasi mai riescono a superare il confine del palcoscenico. A questo si aggiunge una recitazione decisamente scarna, priva di quella musicalità che il testo invece richiederebbe, il cui unico risultato è quello di rendere ancora più lento e meccanico l'evolversi dello spettacolo.
Per quanto concerne i singoli attori vale quello che è stato detto in precedenza: nessun carattere riesce ad affermarsi in maniera netta, per cui, visto anche il ricco parterre di interpreti, alla fine la sensazione che si prova è quella di trovarsi dinanzi ad un insieme di occasioni mancate, tanto si fatica a restarne coinvolti. Sia la Villoresi, che Girone che Brogi, tanto per citare gli interpreti principali, costruiscono delle figure che partecipano ai vari quadri agendo all'interno di questi ma senza far percepire in maniera concreta la loro presenza, che quindi non riesce a fungere da elemento di coesione di tutte queste piccole vicende che vengono esposte ma che alla fine, necessariamente, tendono a concludersi in sé stesse. L'impressione è quindi di assistere ad un'esposizione scolastica del Nuovo Testamento, in cui anche la bellissima musica tratta dal Requiem di Verdi non viene quasi mai usata con vere finalità espressive ma semplicemente come sipario per separare una scena dall'altra (va forse considerato semplicemente come l'ennesimo omaggio a Verdi nell'anno del centenario?). Alla fine la sensazione che si ha uscendo dal teatro è quella di avere realmente assistito ad una "rappresentazione": la rappresentazione di uno spettacolo che invece nella sua essenza è mancato.
D. Cor.