La Trilogia d’autunno, Eroi erranti in cerca di pace, che ha chiuso la 35esima edizione del Ravenna Festival 2024, ha visto la messa in scena di un autentico “capolavoro” firmato da Pier Luigi Pizzi per la regìa, le scene e i costumi.
Ci riferiamo al dittico melodrammatico rappresentato in due serate consecutive presso il Teatro Alighieri di Ravenna: Il ritorno di Ulisse in Patria di Claudio Monteverdi e Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia di Henry Purcell. Questa secondo lavoro scaturisce dall’intreccio di due composizioni scritte dal massimo compositore inglese, Dido and Aeneas (1689) e Hail, bright Cecilia (1692).
In entrambe le opere, il massimo regista, scenografo e costumista che il “teatro barocco” possa vantare al momento, ha espresso genialità e freschezza di ispirazione non comuni; nell’opera di Purcell ha tuttavia superato sé stesso regalando al pubblico una produzione unica e originale che resterà negli annali e nella Storia dell’opera italiana. Per la rappresentazione dell’Orfeo britannico, Pizzi si è avvalso dello stesso dispositivo scenico utilizzato per il capolavoro monteverdiano, modificato con addizione di arredi per ricreare azioni e atmosfere legate alla drammaturgia dell’opera. In un ampio spazio bianco con grandi porte laterali, un organo a canne campeggia sullo sfondo in area medio-alta, numerosi strumenti ad arco e a fiato sono deposti in basso su un mobile a due ripiani.
Questa è la scena da cui prende il via l’Ode composta da Purcell su testo di Nicholas Brady per la celebrazione della patrona della musica; una pagina tra le più rappresentative del musicista inglese. I primi undici numeri sono eseguiti come una sorta di prologo alla mini-opera, i due restanti come conclusione. Il connubio tra i due lavori, già sperimentato dall’eclettico regista nel 1986 a Reggio Emilia, si è rivelato felice per l’allestimento scenico. La scena è ambientata in una scuola di musica frequentata da giovani allievi, come per ricordare che l’opera fu composta per le giovani gentildonne di un convitto di Chelsea (Londra). Gli allievi, per il piacere di fare musica, onorare la Santa e la potenza dell’organo come strumento musicale sublime e ascetico, al cui confronto alcun altro può competere e pertanto resta muto, improvvisano la rappresentazione dell’opera dedicata alla sventurata Didone, all’interno dell’Ode stessa.
L’atmosfera e il clima sono festosi e gioiosi; il tutto è vissuto come gioco e divertimento; gli orchestrali e il direttore dell’Accademia bizantina, cui è affidata l’esecuzione della musica, sono integrati nella scena come componenti effettivi della scuola creando un perfetto intreccio tra verità e finzione, teatro e metateatro. In scena, per tutta la durata dell’Ode, Charlotte Bodwen (soprano), Candida Guida e Delphine Galou (contralti), Žiga Čopi (tenore), Mauro Borgioni (baritono), Gianluca Margheri, Federico Domenico Eraldo Sacchi (bassi) si alternano in assoli, duetti e trio con il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini, ottimamente preparato da Lorenzo Donati. Ciascuno partecipa alla scena con differenti azioni: c’è chi veste Santa Cecilia, chi la interpreta suonando l’organo, chi suona il flauto o il violino, chi muove le sfere dell’armonia celeste, chi balla, chi danza; tutti si esprimono con gioviale canto e accurata tecnica; tra tutti spicca la particolare prestazione vocale di Žiga Čopi.
Terminato l’undicesimo numero dell’Ode, ha inizio la rappresentazione dell’amore infelice della regina cartaginese, Dido and Aeneas. Il mito raccontato da Virgilio nel IV libro dell’Eneide è noto, ma Tate Nahum, librettista dell’opera, lo modifica per alcuni aspetti; non fa riferimento ad alcuna città da fondare in Italia, non accenna ai voti di fedeltà offerti da Didone al defunto marito Sicheo, trasforma gli dèi virgiliani in malvagie streghe interessate soltanto a infierire contro Didone. Le streghe si esprimono con un oh, oh, oh…, ad imitazione delle risate di ricche e borghesi signore inglesi, ma anche del vocalizzo italiano; preparano inoltre malefici incantesimi a suon di danza. E si sa quanto Purcell guardasse al morbido melodizzare italiano come alla leziosità delle danze francesi per dare origine all’opera nazionale inglese! La scena si arricchisce di una chaise longue romana su cui Didone, magistralmente interpretata dal soprano Arianna Vendittelli, si dà la morte dopo aver scacciato l’infìdo Enea, cantando con dolenti accenti, ricchi di pathos “When I am laid in earth”. E’ Charlotte Bowden (soprano) la fedele ancella, Belinda, che incoraggia la regina a cedere a Cupido con toni affettuosamente espressivi e morbida voce e che in punto di morte non l’abbandona accogliendola sul suo seno. L’eroe troiano è il baritono Mauro Borgioni che esibisce una calda, robusta voce e interpretazione espressiva, oltre che un’ottima prestanza scenica.
In un quadro scenico acceso da rosse luci fiammeggianti, sapientemente dosate da Oscar Frosio, ondeggia la sinistra figura della maga, una brava Delphine Galou (contralto), affiancata da due streghe, interpretate dalle altrettanto brave Chiara Nicastro (soprano) e Paola Valentina Molinari (soprano). Completavano il cast i tenori Žiga Čopi (Mercurio), Jorge Navarro Colorado (marinaio), il contralto Candida Guida, come seconda ancella.
Ottima la direzione di Ottavio Dantone che seduto al clavicembalo ha governato con sapiente e morbida gestualità sia gli interpreti sia il Coro, mantenendo sempre in perfetto equilibrio il rapporto tra l’ensemble strumentale e il palcoscenico. A ciò hanno contribuito la compattezza e l’equilibrio vocale del Coro, perfettamente intonato e piacevolmente espressivo.
Uno spettacolo molto ben realizzato, con vivo successo per tutti, tributato con lunghi e calorosissimi applausi del pubblico
Giovanna Facilla