Recensioni - Opera

Ritorna la musica barocca al Teatro Municipale di Piacenza

Interessante e bellissima produzione dell’opera Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel

Il nuovo allestimento è nato come coproduzione con Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro del Giglio di Lucca e Fondazione Haydn di Bolzano e Trento.

La regia è di Chiara Muti che ha scelto un taglio evocativo e simbolico per rappresentare il mondo del popolo e dei condottieri. La regista ha caratterizzato il Re Tolomeo come un insicuro e delirante, tanto da creare delle scenette divertenti con i servi che ubbidivano ai suoi comandi. Cesare invece è un condottiero, che dimostra anche la sua umanità quando si indigna davanti alla testa di Pompeo.  

Le scene di Alessandro Camera si aprono su uno spazio vuoto, direi metafisico con colori oro che ricordano l’opulenza faraonica e colori sabbia per le spiagge egiziane. Decisamente efficace la maschera adagiata a terra, che rappresenta il volto di Giulio Cesare, questa durante lo scorrere delle vicende si divide a formare barriere, mura dei palazzi, montagne da superare per giungere alla meta, caverne da esplorare. Interessante anche il fatto che la parte interna sia ricoperta da specchi che riflettono gli accadimenti scenici. Solo alla fine la figura di Cesare si ricompone e risplende nel suo potere e maestosità.

Pochi oggetti in scena, un trono egiziano, il letto di Cleopatra, il mare, formato da teli mossi dai figuranti, dai cui flutti si salva Cesare e la testa d’asino, forse per ricordare che a volte ci comportiamo tutti come asini.

Bellissimo il lavoro nelle luci di Vincent Longuemare, che riescono a ricreare tutte le atmosfere delle vicende, con tinte quasi caravaggesche nei giochi di luci ed ombre. I costumi di Tommaso Lagattolla sono stati creati con l’intento di distinguere i condottieri romani dagli egiziani. Neri quelli romani, a indicare forse la rigida cultura occidentale, chiari quelli egizi, quasi solari come la loro vita, legati alla terra e agli dei.

Sia il direttore che tutto il cast erano specialisti di questo repertorio e la recita ha avuto un meritatissimo successo. Qualcuno potrebbe obiettare che è stato un pomeriggio di musica del passato. Non è vero: la musica è atemporale e cattura il tempo in cui viene eseguita.

Ottavio Dantone, eccelso specialista di questo repertorio, era direttore e clavicembalista. Il maestro ha guidato l'Accademia Bizantina con maestria, riuscendo ad esaltare la bellezza e la difficoltà della partitura. Bravissimi i solisti dell’orchestra, che hanno regalato un suono avvolgente ricreando la magia del barocco.

La direzione di Dantone, perfetta nell’equilibrio fra palco e orchestra, ha permesso agli interpreti di mettere in mostra le loro capacità vocali. Nel ruolo di Giulio Cesare il controtenore Raffaele Pe, che, con una recita in crescendo, ha messo in risalto le sue qualità vocali. Ha ottenuto un vero trionfo nell’aria “Aure, deh, per pietà" del terzo atto.

Cleopatra era Marie Lys, a suo agio in questa parte. Buona dizione e timbro, controllo nei virtuosismi, perfetta nella parte anche scenicamente, è stata l’artista che mi ha emozionato maggiormente. Anche per lei vere ovazioni dopo i suoi pezzi.

Cornelia è interpretata da Delphine Galou. La parte sembra scritta per lei, infatti la esegue con sicura destrezza. Il duetto “Son nata a lagrimar”, del primo atto, tocca vette di grande emozione. Sesto era Federico Fiorio, molto bravo nel caratterizzare il personaggio di giovane figlio, proprio per l’agilità e la freschezza vocale. Il Tolomeo di Filippo Mineccia ha ottime doti attoriali e tratteggia un Re insicuro nella gestione del regno quanto abile con le sue qualità vocali. Solido e sicuro l'Achilla di Davide Giangregorio, come dimostra nell'aria “Dal fulgor di questa spada”. Completavano il cast gli ottimi Andrea Gavagnin (Nireno) e Clemente Antonio Daliotti (Curio).

Grandissimo successo per tutto il cast, salutato da lunghi applausi,

Che messaggio ci lascia quest’opera? Forse il momento magico è l’aria in cui Cesare rende omaggio a Pompeo: le parole ci ricordano di quanto la grandezza, la vita sia effimera: “Alma del gran Pompeo, che al cenere suo d'intorno invisibil t'aggiri, fur'ombra i tuoi trofei, ombra la tua grandezza, e un'ombra sei. Così termina al fine il fasto umano. Ieri chi vivo occupò un mondo in guerra, oggi risolto in polve un'urna serra. Tal di ciascuno, ahi lasso!, il principio è di terra, e il fine è un sasso. Misera vita! oh, quanto è fral tuo stato! Ti forma un soffio, e ti distrugge un fiato.”

Il coro finale, cantato a luci accese, ci ricorda che la vita è gioia e dolore, simile al messaggio che Verdi ci ricorda col suo Falstaff: “Ritorni omai nel nostro core la bella gioia ed il piacer; sgombrato è il sen d'ogni dolor, ciascun ritorni ora a goder.”