Recensioni - Opera

Scala: Cavalleria batte Pagliacci tre a zero

Ancora efficace la ripresa dell’allestimento di Mario Martone per Cavalleria, meno convincente quello di Pagliacci. Grande prova di Elīna Garanča come Santuzza

La Scala di Milano ripropone il dittico più celebre dell’opera lirica: Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni e Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. L’allestimento è quello di Mario Martone del 2011, ripreso per la quarta volta. Le scene sono di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak, la regia è ripresa da Federica Stefani.

Le due opere sono molto diverse fra loro, è risaputo. Martone sceglie di legarle con il filo rosso dello sfruttamento femminile: durante il preludio di Cavalleria si vede scorrere sulla scena vuota una scenografia mobile che rappresenta un bordello ottocentesco in piena attività, mentre all’inizio di Pagliacci le donne si vendono all’aperto, sotto un cavalcavia anni settanta di una sperduta periferia.

Poco altro unisce le due messe in scena, ove Cavalleria spicca nettamente per un’idea lucida, contemporanea, basata su una scenografia umana che si muove in uno spazio sostanzialmente spoglio, mentre Pagliacci è un assommarsi di soluzioni già viste e non particolarmente originali.

Cavalleria Rusticana convince in particolare per la grande scena corale del popolo che assiste alla messa durante tutta la prima parte dell’opera. Il popolo entra su un palco vuoto, portandosi ognuno la propria sedia. Queste, disposte in modo simmetrico, rappresentano la grande navata della chiesa: è la massa che delimita il dentro e il fuori, nient’altro se non un lontano altare sullo sfondo. Le vicende di Santuzza, Mamma Lucia, Alfio e Turiddu si dipanano mentre all’interno della chiesa immaginaria viene mimata tutta la messa, che termina solo nel momento in cui si passa alla scena successiva in piazza.

Idea vincente questa di Martone, originale, suggestiva e pregna di significati simbolici. Da una parte Santuzza, isolata e scomunicata, dall’altra la massa regolare e irreggimentata del popolo, che opprime e comanda con la sua semplice presenza. Peccato per la successiva scena di piazza con il celebre brindisi, non risolto in modo altrettanto originale, ma con una semplice disposizione a gruppo. Ottimo invece il finale con un palco totalmente vuoto e il coro che irrompe in scena solo all’ultimo.

Buono il cast vocale su cui spicca la prova magistrale di Elīna Garanča, dalla presenza magnetica e dall’interpretazione drammatica e convincente. Il soprano lettone amministra con classe uno strumento importante, brunito e accattivante, convincendo appieno come Santuzza. Al suo fianco l’intensa e inossidabile Mamma Lucia di Elena Zilio. Brian Jagde è un Turiddu di bello squillo, ma a tratti dal fraseggio disomogeneo. Professionale l’Alfio di Roman Burdenko. Bella prova per Francesca di Sauro nella piccola parte di Lola.

Non c’è storia nel prosieguo della serata, Pagliacci perdono tre a zero contro Cavalleria. Qui Mario Martone opta per una regia decisamente convenzionale, assommando una serie di stereotipi scenici che potevano forse essere innovativi negli anni ottanta del novecento, ma che ormai hanno fatto il loro tempo: macchine in scena, ambientazione urbana con tanto di lampioni e cavalcavia, bidoni, l’immancabile roulotte, acrobati e via di seguito. Il regista cerca di movimentare la scena, di disporre il coro in modo creativo utilizzando due prolungamenti laterali del palco, i palchetti di proscenio, ma tutto sa di già visto, di convenzionale, di scontato.

Il cast si difende bene, ma difetta soprattutto di coinvolgimento scenico e di recitazione che in Pagliacci è imprescindibile. Irina Lungu porta a casa la recita con professionalità, ma non brilla. Fabio Sartori canta correttamente tutto, ma non convince come personaggio. Lo stesso dicasi per il Tonio di Roman Burdenko, che ben poco aveva del saltimbanco. Molto convincente invece Mattia Olivieri nella piccola parte di Silvio, interpretata con trasporto sia scenico che vocale da un vero cantante attore. Completa il cast il Peppe di Jinxu Xiahou.

La miglior prova della serata la dà in entrambe le opere lo splendido coro della Scala, compatto e preciso con un suono che svetta e incanta. Precisa la direzione di Giampaolo Bisanti.

Teatro pieno e grande successo di pubblico.

Raffaello Malesci (Martedì 23 Aprile 2024)