Recensioni - Opera

Schnitzler, un grande drammaturgo da riscoprire

Con “Scandalo” di Arthur Schnitzler il Teatro stabile del Friuli Venezia Giulia vince una bella sfida culturale

La stagione di prosa del Teatro Nuovo di Verona continua con una bella proposta del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. “Scandalo” di Arthur Schnitzler è infatti un testo ancora inedito in Italia e mai rappresentato. In realtà il titolo originale sarebbe “Vermaechtnis” ovvero il testamento, ma visto l’ottimo risultato della messa in scena concediamo la licenza poetica che punta su un titolo più accattivante per il pubblico.

Il testo fu scritto dal drammaturgo austriaco nel 1899 e risulta tutt’oggi, per tematica e lingua, modernissimo. La storia è presto detta: un ragazzo della ricca borghesia lascia in punto di morte uno scomodo testamento alla famiglia, ovvero un figlio avuto al di fuori del matrimonio. Egli si fa promettere che la famiglia accoglierà il bambino e la madre. Nonostante le immediate resistenze del fidanzato della sorella, la famiglia cerca di assecondare le ultime volontà del figlio morto. Tuttavia l’improvvisa e repentina morte anche del piccolo, farà sì che la madre venga scacciata per mantenere il buon decoro e la rispettabilità. La ragazza, disperata, fugge dalla casa probabilmente con l’intento di suicidarsi.

Il testo è acutissimo e intrigante, mette infatti in luce le piccole e terribili autogiustificazioni della buona borghesia viennese pesantemente condizionata dalla cerchia di conoscenze influenti, dalla buona società, da una morale spicciola e arcaica. Questa piccola società familiare non riesce a sopportare, nonostante i buoni propositi, l’ingresso di un’estranea. Una ragazza del popolo che oggi potrebbe essere un’immigrata. A parole tutti gli intenti della famiglia sono lodevoli, ma la realtà dei fatti si dimostra diversa, tanto che persino la madre, una volta morto anche il piccolo, si lascia convincere a scacciare l’amante del figlio. Alla fine tutti i personaggi si rivelano coraggiosi solo a parole, ma incapaci di tradurre i principi sbandierati con convinzione in fatti.

Niente di più attuale: al bando il razzismo, viva l’integrazione, solo a parole però! Ecco la grandezza di Schnitzler che già aveva sviscerato le dinamiche della buona società piccolo borghese nella cosmopolita Vienna di fine ottocento. Dinamiche che potremmo ribaltare tali e quali nelle società opulente dei nostri giorni. Progressiste a parole, nella pièce il padre sottolinea di essere sempre stato un liberale, ma incapaci di accogliere veramente il diverso e l’estraneo. Mai analisi fu più lucida.

Ottimo in questo senso il lavoro registico di Franco Però che lascia parlare il testo, riuscendo ad amalgamare in modo convincente un gruppo di attori affiatati e ben preparati. Semplici e scarnificate le scene di Antonio Fiorentino, in cui la casa si scompone da un atto all’altro quasi a simboleggiare lo sfacelo della famiglia. Accurati e filologici i costumi di Andrea Viotti.

Fra gli attori spicca un sorprendente Franco Castellano che disegna un Professor Losatti di profonda acutezza interpretativa, che difende fino in fondo le ragioni del suo personaggio, mettendo in risalto la complessità umana della problematica trattata. Un padre gretto nelle sue convinzioni piccolo borghesi, ma comunque umanissimo e reale. Buone le interpretazioni del cinico dottore di Adriano Braidotti e della madre di Ester Galeazzi. Appropriate anche Lara Komar e Astrid Meloni. Pur essendo il nome di punta della produzione, risulta invece abbastanza sotto tono la Emma di Stefania Rocca.

Il pubblico ha gradito e applaudito con convinzione.

R. Malesci (08.12.2015)