Recensioni - Opera

Seconda pelle: spettacolo nuovo, ma poco innovativo

Non del tutto convincente lo spettacolo che prendeva spunto dalle poesie di Baudelaire

Lo spettacolo del coreografo italo-canadese Hans Camille Vancol andato in scena nella prima metà di novembre al teatro Filarmonico di Verona era basato su spunti che non hanno poi trovato un’adeguata evoluzione rappresentativa al momento della loro messa in atto.
Il filo conduttore dello spettacolo, come si legge nelle note di regia, avrebbe dovuto essere la famosa raccolta di poesie di Baudelaire “I Fiori del male”, ma nell’economia dello spettacolo (durato peraltro solo un’ora e quindici minuti) è stato possibile evincere questo solo una ventina di minuti prima del termine, ovvero quando alcune poesie sono state proiettate sullo sfondo. Ma andiamo con ordine.
 

L’inizio della rappresentazione proponeva quattro passi a due per coreografare la poesia “Elevazione”: le quattro coppie, che hanno danzato per circa quattro minuti una dopo l’altra, sono state tecnicamente soddisfacenti, ma l’intenzione del corografo di certo non è passata, se non a coloro che avevano acquistato e prontamente letto il libretto di scena.
Altrettanto dicasi per “Spleen”, dove per circa una decina di minuti l’immagine proiettata di Giovanni Patti seduto su un divano tra l’annoiato ed il melanconico troneggia in fondo alla scena e non si capisce se voglia o meno interagire con lo stesso Patti intento a danzare il suo a solo sul palco.
Dopo ciò si perde il senso del passare dei vari brani proposti, anche perché non c’è stato alcun punto di riferimento fin quasi alla fine, fatta eccezione forse per L’Orologio dove una delle danzatrici esegue un developpes alla seconda e lo tiene per qualche tempo (citando, a mio avviso, la celebre pubblicità del Rolex di qualche anno fa con Silvie Guillem recante il motto “le sei in punto”). Ma questa è una sottigliezza da addetti ai lavori.
Il succedersi dei tre cambi di abiti (belli e curati) è avvenuto senza che se ne potesse del tutto comprendere il significato, anche se hanno senz’altro rotto la monotonia, specie quella iniziale, anche se perfettamente compatibile col titolo, del color carne.
Poi durante sei brani, uno di seguito all’altro, sei tende bianche ricurve a U sono state calate dall’alto. All’inizio del settimo brano le stesse tende sono state fatte risalire tutte insieme ed è iniziata la proiezione (costruita con un power point) di tre poesie.
Purtroppo non si è riusciti a leggere la prima per vari motivi: le tende salivano e la poesia è stata ovviamente proiettata dall’alto verso il basso, le scritte erano bianche su fondo color carne, quindi chiaro su chiaro ed il carattere era troppo piccolo anche per chi non era miope e stava a metà platea.
Ma le novità non sono finite qui perché a qualche minuto dalla fine è stato proiettato il backstage, quasi come se si volesse confondere lo spettatore sul fatto di trovarsi al cinema a teatro: la caratteristica di quest’ultimo è infatti quella di poter fruire di uno spettacolo sempre diverso ed unico.
Unica boccata di ossigeno le musiche varie ed originali composte da Michel Audisso.
In definitiva, appare encomiabile l’idea di prendere uno spunto letterario così difficile, ma spera che la prossima volta si possa arrivare a qualcosa se non immediatamente intellegibile, almeno di buon senso.


Sonia Baccinelli 15 novembre 2009