Recensioni - Opera

Siberia di Umberto Giordano a Firenze: una riscoperta

Splendida concertazione di Gianandrea Noseda per un un’opera che meriterebbe una maggior frequentazione da parte dei teatri italiani

Ultimo titolo operistico per questo festival del Maggio Musicale Fiorentino, a Firenze è andata in scena una bella edizione di Siberia di Umberto Giordano.

Opera composta ai primi del novecento, dopo i successi di Andrea Chénier (1896) e Fedora (1898). Siberia andrà in scena al Teatro alla Scala con discreto successo il 19 Dicembre 1903, presente fra gli altri Gabriele D’annunzio. Giordano, evidentemente non completamente soddisfatto, apporterà delle modifiche per la versione del 1905 a Parigi e ancora per la ripresa alla Scala del 1927.

La storia trova dei rimandi espliciti in “Memorie da una casa dei morti”, scritto da Dostoevskij durante i lavori forzati in siberia. Giordano, che si affiderà per il libretto a Luigi Illica, fu sicuramente affascinato non solo dal coté russo, ma soprattutto dall’ambiente evocato dai ghiacci e dalle steppe siberiane. Operazione non nuova per il compositore foggiano, infatti se in questo caso indiscusso protagonista dell’opera è appunto la “Siberia”, anche in Andrea Chénier il vero protagonista risulta essere la “rivoluzione Francese”, con chiari rimandi melodici e con il fascino sempre vivo per l’atmosfera e le situazioni drammaturgiche derivate dall’ambiente in cui si muovono i personaggi.

Giordano insomma riesce magistralmente a condensare nelle sue opere veri e propri affreschi di genere, in cui “l’ambientazione” concorre a creare la base per lo sviluppo emozionale e drammaturgico dei personaggi. Infatti in Siberia l’atto meno pregnante è il primo, il più borghese, che si svolge a Pietroburgo e che crea l’antefatto per la deportazione di Vassili, amato dalla traviata Stephana, che poi deciderà di raggiungerlo al confino nelle steppe russe. Nei due atti successivi, Giordano sviluppa atmosfere musicali seducenti con ampio utilizzo del coro e di melodie russe fra cui la canzone dei Battellieri del Volga. L’impianto sinfonico importante e ispirato sorregge e completa le belle melodie di stampo prettamente italiano, che si infiammano specialmente nei grandi duetti d’amore fra Stephana e Vassili.

Gianandrea Noseda dirige con forza e solennità la partitura, accentuandone i lati sinfonici e partecipando alla riscoperta di quello che Giordano riteneva il suo capolavoro. Sonya Yoncheva incarna una Stephana dalla vocalità sicura e timbrata, capace di affrontare le impervie sfide della partitura con il piglio della grande artista. Al suo fianco Giorgi Sturua, giovane tenore georgiano. E’ ben preparato vocalmente e dispone di una bella voce tenorile sicuramente da tenere d’occhio. Meno a fuoco sul lato scenico, incarnava comunque un amante abbastanza credibile. Ottimo anche il Gléby del baritono rumeno George Petean, che soprattutto negli ultimi due atti delinea la figura di un villain convincente e gaglioffo, coronato da una voce sicura e a tratti sontuosa. Ottimo e preparato tutto il numeroso cast, per la maggior parte composto da giovani cantanti. Da segnalare Caterina Piva, una Nikona vocalmente convincente e dal bel colore vocale prettamente mezzosopranile.

Il regista Roberto Andò sceglie di posporre l’azione di qualche anno e la immagina come la ripresa di un film dell’istituto luce, ci troviamo perciò circa negli anni venti del novecento, da cui i numerosi riferimenti al regime sovietico e a Stalin. L’idea è condotta con coerenza, esalta la storia in alcuni momenti, senza diventare mai troppo invasiva o fine a se stessa. Le grandi scene corali non perdono comunque mai la loro forza e la loro coerenza. La “Siberia” è riprodotta sì artificialmente, ma la finzione insita nel fatto di trovarsi in un set cinematografico, non fa venire meno la suggestione tanto cara a Giordano verso le dolenti masse dei deportati. Fondamentali poi le immagini di Luca Scarzella, che da una parte spiegano la storia, dall’altra creano ed evocano atmosfere e avvenimenti in un continuo rimando fra verità, finzione cinematografica e finzione scenica. Semplici ma appropriate le scene di Gianni Carluccio, coerenti i costumi di Nanà Cecchi.

Insomma una produzione pienamente riuscita che il pubblico, purtroppo non molto numeroso complice anche la calura estiva fiorentina, ha salutato alla fine con molti e convinti applausi.

R. Malesci (13/07/21)