Recensioni - Opera

Spumeggiante sposa “bresciana”

“La sposa persiana” nasce dall’esigenza di Goldoni di scrivere un testo che andasse incontro ad una moda molto diffusa all’epoca: ...

“La sposa persiana” nasce dall’esigenza di Goldoni di scrivere un testo che andasse incontro ad una moda molto diffusa all’epoca: quella delle cosiddette “turcherie” ovvero del gusto per l’esotico che allora veniva assimilato a quanto era in uso nell’impero ottomano. A questo stile si rifanno peraltro alcuni capolavori quali “Il ratto dal serraglio” di Mozart o “Il turco in Italia” di Rossini. La curiosità a questo punto sta nel fatto che contemporaneamente a Costantinopoli si guardava all’Europa occidentale come ad un modello di civiltà da imitare, e quindi i canoni estetici tendevano a rifarsi in modo massiccio a quelli francesi, visto che allora la capitale intellettuale del vecchio continente era Parigi.
In ogni caso Goldoni, per assecondare il gusto del pubblico, sceglie questa linea esotica, realizzando un opera in versi che si basa peraltro su assunti abbastanza deboli: la caparbietà e la ruffianeria delle donne che hanno la meglio sull’ingenuità maschile, condendo il tutto con la presenza di alcune figure tipicamente macchiettistiche quali la serva en travesti. In sostanza un’ossatura abbastanza scarna per dare vita alla solita commedia che dovrebbe sussistere esclusivamente su rimo, brio e capacità degli attori. E infatti queste sono le caratteristiche con cui la proposta del nostro teatro stabile riesce ad affermarsi.
Andrea Taddei, scenografo e costumista passato alla regia, crea uno spettacolo di grande impatto visivo, con scene e costumi estremamente ricchi e sfarzosi, supportati da un efficace uso delle luci progettate da Adriano Todeschini, mentre dal punto di vista della regia opta per una scelta decisamente tradizionale, preoccupandosi più che altro di non far cadere il ritmo della rappresentazione e di sottolineare tutti i possibili spunti comici che il testo offre. Si assiste così ad uno spettacolo estremamente godibile che si dipana con notevoli puntualità e precisione, peraltro necessarie trattandosi di un lavoro scritto in versi che ovviamente devono essere rispettati, senza però concedersi nessuna trovata particolarmente originale, che esuli dalla classica gag.
Gli attori sono tutti all’altezza del loro compito, in particolare Paola Bigatto, abilissima nel trarre una notevole gamma di sfumature da un testo che invece tenderebbe ad imporre una certa rigidità espressiva. Efficacissimi anche lo spiritoso Graziano Piazza nel ruolo del marito ingenuo, ed Emanuele Carucci Viterbi, nell’esilarante ruolo della serva Curcuma. Un po’ meno convincente Sandra Toffolatti, ovvero Ircana, la protagonista. Decisamente monocorde nell’interpretazione risolve il personaggio in un perenne mezzoforte ringhiante che alla fine risulta abbastanza monotono. Efficaci ed in parte tutti gli altri interpreti.
In sostanza si può parlare di un riuscito divertissement, che, se non si può certo definire come uno di quegli spettacoli destinati a riscrivere la storia del teatro, quantomeno ha il pregio di non rendere sempre più arduo e faticoso l’ingresso e la sopravvivenza in una sala teatrale.
D.Cor