Recensioni - Opera

Stiffelio: tutti partecipanti, nessuno escluso.

Geniale e coinvolgente la regia di Graham Vick al Teatro Farnese in occasione del Festival Verdi

Stiffelio è opera che si può considerare fortemente sperimentale all’interno del catalogo di Giuseppe Verdi, non solo per la posizione di passaggio tra gli “anni di galera” e la fase dei capolavori (segue Luisa Miller e precede Rigoletto), ma anche per l’argomento che, per la prima volta mette in scena una storia a lui contemporanea. Il racconto di un prete sposato, tradito dalla moglie e costretto al divorzio, risultava particolarmente scabroso nell’Italia di metà XIX secolo, nonostante fosse prevista una riconciliazione finale. Per questo motivo l’opera subì parecchie ingerenze da parte della censura, al punto che Verdi la ritirò e la trasformò nell’apparentemente più innocuo, e musicalmente meno riuscito, Aroldo, di ambientazione medievale.

 

Nessuno dei due titoli godette comunque di particolare fortuna ed ambedue sparirono abbastanza presto dalla circolazione, sino a quando nel 1968, in seguito al ritrovamento della partitura originale, Stiffelio venne rappresentato al Teatro Regio di Parma e di lì iniziò a svilupparsi un timido interesse nei confronti di quest’opera. Ed è proprio a Parma, in occasione del Festival Verdi, grazie all’allestimento-capolavoro diretto da Graham Vick al Teatro Farnese, che Stiffelio è rinato per la seconda volta.
Dato che parlare di tradimento e divorzio non ha più lo stesso effetto che poteva avere all’epoca della composizione, Vick riadatta con grande intelligenza la drammaturgia ai nostri giorni, affrontando il tema del rapporto tra chiesa e ideologia gender.

 

Sulle note della sinfonia si entra nella platea del Teatro Farnese addobbato da striscioni che inneggiano alla famiglia e si viene accolti da sacerdoti e sentinelle in piedi che ostentano bibbie e i libri scritti da Stiffelio, sacerdote militante in favore della famiglia tradizionale, di cui si possono trovare anche i dvd delle prediche venduti dai suoi fedeli. Dato che anche il pubblico è in piedi e munito di un badge che lo identifica come “partecipante”, diventa quasi immediata l’immedesimazione con i figuranti: anche noi diventiamo attori-spettatori e, come nella tragedia greca, entriamo a fare parte del coro, un coro che può muoversi all’interno del teatro nella più totale libertà, in cui ciascuno può partecipare scegliendo il proprio punto di vista.
Mentre i protagonisti agiscono su dei praticabili che vengono spostati in base allo svolgimento della vicenda, intorno si svolgono decine di controscene: fedeli che abbracciano il pubblico, sacerdoti che irretiscono giovani ragazzi, spedizioni punitive ai danni di coppie omosessuali, manifestanti che vengono allontanati.

Ma Stiffelio, oltre che ministro religioso è anche un uomo che, una volta toccato a livello personale, si rende conto di quanto più complessi e profondi siano i sentimenti di comprensione e di perdono. Il doloroso percorso di consapevolezza da parte del sacerdote conduce al catartico finale in cui ogni pregiudizio sembra scomparire, gli striscioni con i proclami vengono ammainati e le nuove parole diventano tolleranza e comunione.
Uno spettacolo magnifico e totalizzante quello pensato da Vick, che va vissuto in prima persona e difficilmente può essere descritto per l’innumerevole serie di spunti che offre e per il totale coinvolgimento da parte del pubblico, complice anche la riuscita componente musicale.

Stiffelio non è solo la bozza preparatoria di Rigoletto, anche se il duetto tra Lina e Stankar del primo atto offre più di un’anticipazione, ma contiene al suo interno pagine particolarmente riuscite, quali ad esempio il settimino che chiude il primo atto o il duetto Lina-Stiffelio del terzo.
L’orchestra e il coro del Teatro Comunale di Bologna, diretti da Guillermo Garcia Calvo hanno saputo superare le difficoltà legate all’acustica del luogo regalandoci un’interpretazione intensa e vibrante.

Ottima la prova del cast che ha visto in Luciano Ganci uno Stiffelio dal timbro squillante e sicuro negli acuti e in Maria Katzarava una Lina musicalissima e intensa nel fraseggio. Francesco Landolfi era uno Stankar estremamente duttile nel passare dall’affetto paterno alla violenza del sicario, mentre Giovanni Sala ha cantato un energico Raffaele.
Rimarchevoli anche le prove di Emanuele Cordaro (Jorg), Blagoj Nacoski (Frengel) e Cecilia Bernini (Dorotea) che hanno contribuito alla riuscita di un grandissimo spettacolo, accolto dal pubblico con applausi entusiastici e che meriterebbe di essere ripreso anche nelle prossime stagioni.

Davide Cornacchione 21 ottobre 2017