Recensioni - Opera

Suggestivo Ballo d’altri tempi

Un Ballo in Maschera nell’edizione firmata nel 1913 da Giuseppe Carmignani inaugura la stagione del Teatro Regio

La stagione d’opera 2019 del Teatro Regio di Parma si è aperta con un’edizione di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi che non è un azzardo definire eccezionale. Lo spettacolo è stato infatti costruito partendo dalle scenografie dipinte nel 1913 da Giuseppe Carmignani e recentemente restaurate dopo un fortuito ritrovamento nei magazzini del teatro.

 

Carmignani fu nipote e allievo di Girolamo Magnani, lo scenografo preferito da Verdi, per cui questa riscoperta ha permesso al pubblico odierno di assistere ad una rappresentazione allestita esattamente secondo i canoni in voga all’epoca dello stesso compositore. E, proprio perché venisse in toto rispettato questo criterio filologico, i fondali che il tempo ha rovinato non sono stati sostituiti da altri dipinti ex novo ma si sono volutamente lasciati degli spazi vuoti. Al di là dell’importanza della riscoperta, è indubbio l’appagamento che queste scenografie recano all’occhio dello spettatore. Lo sfoggio di colori, il gioco prospettico e la maestria con la quale sono state realizzate costituiscono un piacere che si rinnova ad ogni cambio scena. Piacere amplificato dagli sfarzosi costumi seicenteschi disegnati da Lorena Marin -bellissimi quelli del ballo ispirati alla commedia dell’arte- ed agli arredi progettati da Leila Fteita che perfettamente si sposano con i vari ambienti. Anche la regista Marina Bianchi ha dovuto basarsi su questo spazio scenico per costruire la sua regia, che si è rivelata estremamente efficace nonostante si sia mantenuta sui canoni della tradizione, con un impianto sostanzialmente frontale ed i cantanti quasi sempre a proscenio. Molto suggestiva la scelta di proiettare durante il preludio del primo atto un filmato che illustrava i vari passaggi del restauro delle scenografie stesse curato da Rinaldo Rinaldi.

Sul podio dell’Orchestra Filarmonica Italiana il Maestro Sebastiano Rolli ha saputo imprimere alla partitura una lettura di grande efficacia. Il suo è un Verdi estremamente vitale, ricco di colori e sfumature, che ai tempi concitati del primo atto contrappone le tinte corrusche dell’antro di Ulrica e le sottilissime raffinatezze con le quali sono sorrette le arie di Amelia, pervase da un malinconico lirismo. Il tutto sempre riuscendo a mantenere in perfetto equilibrio buca e palcoscenico, grazie anche all’apporto del coro del Teatro Regio come sempre magnificamente preparato da Martino Faggiani.

Discreto il cast su cui spiccava lo spavaldo Riccardo di Saimir Pirgu. Il giovane tenore ha sfoggiato un bel timbro lirico e acuti solidi e ben timbrati, ma si è anche distinto per il ricco e sfumato fraseggio. Al suo fianco Irina Churilova, convocata pochi giorni prima del debutto e quindi salita sul palcoscenico dopo un esiguo numero di prove, è stata un’Amelia sicura nei centri ma meno negli acuti. Il personaggio è stato comunque reso in modo credibile nonostante il fraseggio non curatissimo. Lion Kim è stato un Renato dalla voce piena e rotonda ma avara di sfumature. Laura Giordano è stata un Oscar vitale ed impeccabile nelle agilità e mentre Silvia Beltrami si è distinta per il timbro corposo e la grande personalità nell’affrontare il ruolo di Ulrica. Adeguati Massimiliano Catellani (Samuel), Emanuele Cordaro (Tom), Fabio Previati (Silvano) e Blagoj Nacoski (Giudice e Servo di Amelia).
Il pubblico del Teatro Regio ha decretato un franco successo scandito da ripetuti applausi a scena aperta.

 

Davide Cornacchione  20/01/2018