Recensioni - Opera

Sul confine fra sogno e realtà

La Rigenerazione di Italo Svevo a Verona

La rassegna “Il Grande Teatro” del Nuovo di Verona ha proposto l’altra sera “La Rigenerazione” di Italo Svevo, per la regia di Antonio Calenda. Il direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia ha dato ritmo e vis comica quasi surreale alla valida riduzione di Nicola Fano. Le sobrie scene di Pier Paolo Bisleri, le luci efficaci di Nino Napoletano e gli eleganti costumi di Stefano Nicolao, hanno poi messo ulteriormente in risalto la prova corale di un cast eccellente, costruito intorno a un Gianrico Tedeschi in grande spolvero.

“La Rigenerazione” è opera che dosa brillantemente umorismo e malinconia e traduce in linguaggio teatrale la poetica di Svevo, attraverso i personaggi che l’hanno sempre incarnata: uomini e donne della borghesia commerciante triestina, piena di consapevolezza del proprio ruolo e dei propri valori, ma anche piena di tensioni e incoerenze. L’appartenenza alla società richiede integrazione, impone obbedienza a regole morali e finisce per impedire la ricerca del piacere. Si vive così una realtà composta, sobria, elegante, ma inautentica, capace solo di creare lacerazioni che devono ricomporsi in sogni liberatori. “La Rigenerazione” si innesta proprio su questo scivoloso confine fra realtà e sogno, fra moralità striminzita e voglia di vivere liberamente.

Il protagonista, l’ultrasettantenne Giovanni Chierici, spinto da un giovane nipote medico, decide di sottoporsi ad un’operazione di ringiovanimento (un’allusione a una ciarlataneria in voga a Trieste all’epoca di Svevo). Il ritorno alla gioventù è strumentale a rivivere l’amore giovanile per Pauletta, una ragazza semplice, libera e civettuola, che Giovanni decide di non sposare perché fuori dagli schemi borghesi di comportamento. Sposa invece, la bella e più “presentabile” Anna, l’ama e la rispetta per tutta la vita. Ma nel ringiovanimento, Giovanni insegue ancora Pauletta, che rappresenta l’amore puro della giovinezza, l’emozione del primo contatto con l’eros e la scoperta dell’attrazione per i corpi femminili. Lo scambio fra sogno, immaginazione cosciente e realtà è un turbinio irresistibile in cui Giovanni decide di lasciarsi cadere, diventando un vecchio giovine. Questa sua nuova vita non lo allontana dal ruolo di pater familias di solida moralità, ma disorienta comunque la sua famiglia che sceglie - per quieto vivere - di essere accondiscendente. In fondo, nella società borghese, “tutto è fuori posto, ma poi ci si abitua a stare fuori posto e si vive come se a posto si fosse”.

L’ottimo allestimento si è giovato di una prova corale di alto livello da parte di tutto il cast. Fra tutti si è distinto Fulvio Falzarano, efficace nella costruzione di Enrico Biggioni, lo spasimante di  Emma, figlia di Giovanni. La sua gestualità intensa e i perfetti tempi comici hanno reso la tensione di un uomo consumato dall’amore, ma sempre tragicamente sbagliato nei tentativi di esprimerlo. Valeria Ciangottini ha trasmesso con sfumature misurate le contraddizioni e tensioni interne di Anna, moglie di Giovanni; mentre Zita Fusco ha prestato la sua bellezza e vitalità a Rita, la cameriera in cui Giovanni fa rivivere Pauletta.

Quando il sipario si chiude, però, rimane nella mente il giovine vecchio, Gianrico Tedeschi. Con una magistrale sovrapposizione di personaggio e attore, a quasi novant’anni ha ancora voglia di giocare sul palco e riesce a regalare momenti di irresistibile divertimento, pur dando alle parole di Svevo tutto il peso e la profondità che si celano dietro l’ironia.

Tommaso Lavegas (15/02/2009)