Il soprano russo è la nuova Turandot di riferimento, confermandosi un fenomeno vocale assoluto
C’era grande attesa in Arena per il debutto italiano di Anna Netrebko come Principessa Turandot nell’omonima opera di Giacomo Puccini. Attesa che non è andata delusa, in tre recite da tutto esaurito per l’Arena di Verona.
Dopo una lunga carriera iniziata con parti liriche, Anna Netrebko si conferma un fenomeno vocale assoluto arrivando ad interpretare Turandot in forma smagliante, sbaragliando qualsiasi confronto del passato e imponendosi come la nuova Turandot di riferimento per questo scorcio di secolo. Quello che ha impressionato in Arena è stata la facilità nell’affrontare l’impervio ruolo, una linea di canto musicale e una voce sempre omogenea e timbrata, usata con una tale sicurezza da permetterle di non urlare, anzi di ricavare sfumati e pianissimi pur riempiendo di sonorità l’ampia cavea dell’arena. Un personaggio a tutto tondo che ammaliava e ridava senso alla drammaturgia dell’opera, con finalmente una Turandot vera protagonista.
Merito sicuramente della voce, ma anche della carriera, intelligente, che Anna Netrebko ha alle spalle. Il ruolo della principessa è infatti di solito ad appannaggio di cantanti specializzate in ruoli drammatici, dotate principalmente di potenza vocale, ricordiamo la Dimitrova e la Nilsson, ma che tendono inevitabilmente all’urlo e al monocorde. Ebbene la Netrebko, forte di un’ampia esperienza anche in altri ruoli, riesce, ed in Arena, a “cantare” tutta la parte della Principessa di gelo, solo questo fatto la catapulta nell’olimpo delle grandi interpreti di questo ruolo.
Ottimo anche il resto del cast che contribuiva al successo di una serata speciale. Yusif Eyvazov era un Calaf dotato di ampia voce, con grande sicurezza negli acuti e con una linea di canto “aperta”, in puro stile russo, ma molto efficace. Grande successo per lui nella celebre romanza “Nessun Dorma”. Splendida inoltre l’intesa nel finale con Anna Netrebko, i due sono riusciti a rendere appassionante e credibile anche l’ultima parte, orchestrata da Franco Alfano, che di solito risulta inefficace e scollata. Merito dell’intesa familiare certo, ma anche della capacità di entrambi di piegare la voce ad accenti lirici, di stare sul fraseggio e perciò di rendere credibile anche questa parte dell’opera. Liù era Ruth Iniesta, che ha cantato con una buona linea di canto e convinta partecipazione, ieratico e solenne il Timur di Riccardo Fassi. Le tre maschere – Alexey Lavrov, Marcello Nardis, Francesco Pittari – non hanno invece convinto fino in fondo, pur nella generale correttezza della loro esecuzione. Completavano il cast i professionali Carlo Bosi, Viktor Shevchenko e Riccardo Rodos.
Jader Bignamini, alla direzione, faticava non poco a tenere insieme l’ampia compagine orchestrale e il coro infelicemente piazzato sulle gradinate a sinistra. Poco da dire dell’allestimento, peraltro non firmato, confuso nei movimenti di massa e di una banalità e convenzionalità disarmante.
Successo travolgente per tutti i protagonisti e ovazioni da stadio per Anna Netrebko e Yusif Eyvazov.
R. Malesci (05 Agosto 2021)