Recensioni - Opera

Torino: Fanciulla del West e spaghetti western

Valentina Carrasco crea un ponte con i film di Sergio Leone

Diversificato ed assai coinvolgente si presentava il nuovo allestimento de La fanciulla del West di G. Puccini, presentato dal Teatro Regio di Torino nel corso della corrente stagione ed in particolare per la regia di Valentina Carrasco che è riuscita, con brillante intuito teatrale, a cogliere ed interpretare le svariate e complesse dinamiche dell'opera sviluppandone i molteplici elementi.

Il suo lavoro (in perfetta sinergia con le scene di Carles Berga e Peter van Praet ed i costumi di Silvia Aymonino) nutriva l'obiettivo di porsi quale ponte ideale tra il linguaggio pionieristico pucciniano e il cinema di Sergio Leone, i cui film (stretti in viscerale sinergia con Ennio Morricone) ebbero il grande merito di rilanciare a livello popolare un genere che era stato un po’ dimenticato. Attraverso un attento lavoro sulla partitura la regia contribuisce ad illuminarne i tratti tramite un linguaggio contemporaneo e diretto nonché prepotentemente teatrale.

Giocando ironicamente con il concetto di teatro nel teatro (molte volte la realtà si insinuerà infatti nella finzione, come con la protesta di Wowkle e Billy Jackrabbit che nel II Atto vorrebbero abbandonare il set per sostenere la causa degli indiani d’America) la Carrasco, pur rischiando moltissimo (forse troppi i piani drammaturgici di lettura che agiscono in contemporanea) riesce nell’intento di offrire un quadro coerente e completo che si pone come onesto ed intelligente omaggio al popolare genere western.

Così lo spazio scenico ospita un vero e proprio set cinematografico, circondato da tutto il mondo degli studios, animato dalle varie figure professionali, dal regista al truccatore. Unico ma problematico limite, trattandosi di un’opera lirica, il set (specie nel I Atto) si trovava posizionato piuttosto indietro sul palcoscenico e questo ritengo abbia comportato non poche difficoltà al cast: a volte trovare il giusto equilibrio, specie in un’opera complessa e diversificata come questa, può risultare assai arduo.

Detto questo, il cast impegnato ha cercato di portarsi al meglio delle sue possibilità.

Il soprano Jennifer Rowley, nonostante un'interpretazione sostanzialmente corretta, restava alquanto distante dal complesso carattere di Minnie, sia a causa di una vocalità troppo esile sia per una mancanza di omogeneità nel registro acuto.

Anche il pur sempre professionale Roberto Aronica sembrava a tratti non perfettamente a suo agio e la bella vocalità (pur corretta e sempre ben sostenuta) non riusciva tuttavia ad emergere da un’interpretazione nel suo complesso abbastanza monocorde.

Assai ben cesellato ed approfondito caratterialmente, il personaggio di Jack Rance conosceva invece nell’interpretazione di Gabriele Viviani un approfondimento espressivo e vocale sempre convincente e mirato al tratteggio di un ruolo in cui spesso è arduo distinguere il bene dal male.

Perfetti nei loro rispettivi panni Francesco Pittari (Nick), Gustavo Castillo (Jake Wallace) e Filippo Morace (Sonora). Eccellente il resto del cast: Paolo Battaglia (Ashby), Cristiano Olivieri (Trin), Eduardo Martínez (Sid/Billy Jackrabbit), Alessio Verna (Bello e Harry), Enrico Maria Piazza (Joe), Giuseppe Esposito (Happy), Tyler Zimmerman (Larkens), Ksenia Chubunova (Wowkle), Adriano Gramigni (José Castro) e Alejandro Escobar (Un postiglione).

Molto bene il coro del Teatro Regio diretto da Ulisse Trabacchin.

Francesco Ivan Ciampa alla guida dell’orchestra del Teatro Regio ha offerto una lettura indubbiamente corretta ma troppo sommaria della partitura pucciniana, che conosce al suo interno più complesse e diversificate variabili.

Sala gremita e gran successo di pubblico per questo sempre amatissimo ma assai articolato capolavoro che racchiude, dietro un’apparente semplicità di struttura, un reticolato di complesse e contrastanti interpretazioni.

Torino, 22/03/2024