Recensioni - Opera

Torino: Turandot firmata Stefano Poda

 Il 22 aprile a Torino sì è rappresentata la prima di Turandot, Stefano Poda ne firma la regia, le scene, le luci, la coreografia e i costumi; non "straniero" a Torino già nel 2018 ne aveva curato l'apertura con la stessa Turandot "incompiuta"

Incominciamo col dire che la Turandot di Poda non prevede il lieto fine a cui Alfano ci aveva abituato, ma termina col canto funebre di Liù, ( il soprano Giuliana Gianfaldoni) rimasta incompiuta per la morte di Puccini.

Questo aspetto è importantissimo perché detta la direttrice dell'intera opera: non tutto deve essere comprensibile, ma interpretabile, lo spettatore deve compiere un viaggio dentro il "mistero"in cui, Turandot,(il soprano Ingela Brimberg) con le sue poche apparizioni,"non esiste" così come ci raccontano Ping Pong Pang, (rispettivamente interpretati magistralmente dal baritono Simone Del Savio, dal tenore Alessandro Lanzi e infine dal tenore Manuel Pierattelli) la principessa dal cuore di ghiaccio è solo nella mente di Calaf ( il tenore Mikheil Sheshaberidze ), nell'alterità delle donne del coro,in Liù la giovane schiava, è ovunque e allo stesso tempo da nessuna parte.

Assai note sono le fiabe "teatrali" di cui Turandot è una delle più riuscite, che Carlo Gozzi scrisse,e, da cui fu tratto il libretto per il dramma lirico da Giuseppe Adami e Renato Simoni: Turandot votata alla castità come un'antica vestale, mette in palio se stessa solo allo scioglimento dei tre fatidici enigmi...sembra per vendetta in nome di un'ava violata...pena la decapitazione dei pretendenti, il sangue...

Attorno al cuore della vicenda tutto si svolge tra un rimando al mondo interiore ed esteriore, al sogno e realtà, è la drammaturgia dell'inconscio che detta le regole, teniamo presente che il novecento insieme a tutti gli orientalismi di importazione vide la nascita della psicoanalisi, ed è appunto il mistero che tutto avvolge e tutto indaga, il senso dell'alterità e la sospensione al di là di ogni tempo che domina l'opera.

Magnificamente rappresentato dall'impianto scenico: "splendor", lucente biancore, tutto è bianco, tutti i costumi sono bianchi o neri, non ci sono stereotipati abbigliamenti cinesi, gli ingressi laterali bianchi, il fondale bianco dove incastonati i corpi imbalsamati delle povere vittime di Turandot...Lei in una fugace apparizione nel I Atto di rosso vestita, come rosso è il sangue che invoca del principe di Persia, perdente dopo gli enigmi.

Tutti gli atti si svolgono su una piattaforma rotante che riflette i simboli geometrici della Città Proibita, posti specularmente, insieme alle espressioni corporee vibranti e magiche del corpo di ballo e ai costumi, esplodono in uno spettacolo caleidoscopico in continua trasformazione.

Ecco perché non può esserci un finale posticcio: l'incompiutezza dell'opera permette, a ritroso, di vivere un'esperienza diversa ad ognuno di noi.

Ma chi è Calaf? ossessionato dalla principessa dal cuore di ghiaccio, è il sognatore della fiaba, splendido stratagemma scenico in trasparenza la chaise-longue da psicanalisi sulla quale lui si riposa, Calaf vive in un altrove, è sordo alle lusinghe o agli avvertimenti delle maschere , del coro, Calaf sembra riecheggiare l'ottusità degli antichi eroi classici... ma lui, a differenza loro, all'alba vincerà!

Degno di nota e maestoso è il coro (coro di voci bianche del Teatro Regio di Torino guidato con maestria da Andrea Secchi), protagonista centrale incarna le mutevoli emozioni del sentire umano, dalla rabbia alla speranza al lirismo poetico che tutti commuove. E' il veicolo dell'intera vicenda riverbera il sogno di Calaf,la sete di sangue di Turandot, il richiamo bucolico ad una vita normale delle tre maschere.Ma solo nel sentire continuo dell'altro che si potrà risolvere l'antagonismo: Liù uccidendosi donerà a Turandot, Calaf e la speranza, e saranno proprio le tre maschere Ping, Pong, Pang che insieme al coro "lavoreranno" affinché l'enigma esistenziale di tutti i personaggi si possa risolvere.

Jordi Bernàcer sul podio dirige fedele al modernismo degli anni Venti, alternando passaggi "lievi"tipici delle partiture novecentesche ai lirismi delle masse corali.

Tra gli interpreti abbiamo già incontrato il tenore Mikheil Sheshaberidze, georgiano, nel ruolo del principe Calaf mi è sembrato "trattenuto"sia nella voce sia nell'interpretazione, espansione ridotta, tant'è che il "Nessun dorma" non ha strappato lo "standing ovation"...consueto, passa tranquilla adombrando il tanto atteso "vincerò".Il soprano svedese Ingela Brimberg nella parte di Turandot è perfetta! voce sottile ghiacciata.Splendida di un purissimo lirismo è Giuliana Gianfaldoni, Liù, affronta dei filati perfetti, senza una sbavatura, imprigionati però in un convenzionale belcanto, manca un po' dell'interpretazione vibrante e passionale che la parte invoca.

Timur, il re tartaro spodestato, padre di Calaf, è invece interpretato splendidamente dal basso Michele Pertusi,interpretazione e canto all'unisono: il bel canto guidato ed elevato, trattenuto in un'accorata emozione come il personaggio richiede.

Completano il cast: il Mandarino, basso baritono, Adolfo Corrado, e l'imperatore Altoum, il tenore Nicola Pamio...bravi.Inoltre il principe di Persia , il tenore Sabino Gaita, la prima ancella, il soprano Pierina Trivero, la seconda ancella, il soprano Manuela Giacomini, infine la danzatrice Pu-Tin-Pao Nicoletta Cabassi.

Una serata carica di aspettative ed un pubblico prodigo di applausi finali.

 

Orchestra, Coro e Coro di voci bianche Teatro Regio Torino

Direttore d'orchestra Jordi Bernàcer
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro del Coro di voci bianche Claudio Fenoglio
Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda
Regista collaboratore Paolo Giani Cei
Direttore dell’allestimento Antonio Stallone
Allestimento Teatro Regio Torino

 

Edwige Mormile