Recensioni - Opera

Torino: Zauberflöte al cinema muto

Felice ripresa del capolavoro mozartiano al Teatro Regio nell'allestimento fitmato da  Barrie Kosky

Arriva finalmente al Teatro Regio di Torino, ripreso da Tobias Ribitzki, il noto allestimento di Die Zauberflöte che Barrie Kosky creò nel 2012 per il Komische Oper di Berlino e che tanto successo ha goduto in questi anni.
Segreto dello spettacolo, ideato in collaborazione con il brillante gruppo teatrale britannico «1927», nato nel 2005 da Paul Barritt e Suzanne Andrade, è la coinvolgente sinergia tra l’intuizione originaria e la sua realizzazione tecnica che fa apparire l’allestimento fluido e perfettamente sincrono alla partitura.

L’idea parte da quel fantasioso ed affascinante universo che il cinema muto dei primi decenni del Novecento a Berlino veicola, attraverso un apparato visionario e fantastico ben coniugato con uno degli aspetti (come si sa la partitura ne conosce di molteplici) dell’opera mozartiana, quello marcatamente visivo. Così il palco diventa un grande schermo cinematografico dove vengono proiettate immagini in bianco e nero in cui sono magistralmente inseriti i solisti che, con un abile gioco scenotecnico, sembrano farne completamente parte.

Un gioco raffinato che si allontana dal mero esperimento tecnico e sposta l’attenzione sulla differenza tra vero e verosimile e sul concetto stesso di proiezione e doppio. Così i riferimenti cinematografici cercati (Monostato che appare come Nosferatu e Papageno quale Buster Keaton così come la Regina della notte che assume le fattezze di un enorme aracnide) appaiono significativi e puntuali a veicolare un mondo altro in cui suggestioni e fantasie (e l’universo di Kosky è animato da tutta una serie di simpatiche creature) sono tutt’uno con la struttura drammaturgica. Così coerentemente anche i recitativi mutano e, accompagnati da un fortepiano del XVIII secolo che esegue brani dalle Fantasie per pianoforte in do minore K475 e in re minore K 397 dello stesso Mozart, appaiono trasformati in brevi intertitoli di film muto proiettati sullo schermo.
Una sintonia invidiabile che trasuda teatro ed abbraccia il pubblico che è risultato infatti davvero toccato e coinvolto da questa avventura musicale e visiva.

Molto attento e professionale anche il cast impegnato in palcoscenico.
Gabriela Legun assai bene tratteggia la sua Pamina attraverso un uso della vocalità sempre corretto e misurato così come Joel Prieto ben si disimpegna quale Tamino grazie ad una  musicalità distinta e raffinata e ad un uso corretto del suo strumento, peraltro assai interessante per colore. Divertente ma anche  malinconicamente sfumato il Papageno interpretato da Gurgen Baveyan che affronta il personaggio con giusto accento e bella e morbida timbrica. Indubbiamente brillante e profilata con tagliente smalto la Regina della Notte cui Serena Sáenz non lesina preziosità tecniche e giustamente solenne ed impostato su di una vocalità dal timbro vellutato il Sarastro cesellato da In-Sung Sim. Molto bene Thomas Cilluffo quale Monostato.
Completavano il cast con compita professionalità Amélie Hois (Papagena), Lucrezia Drei (Prima dama), Ksenia Chubunova (Seconda dama), Margherita Sala (Terza dama), Enzo Peroni (Primo armigero) , Rocco Lia (secondo armigero), Viola Contartese (Primo fanciullo), Alice Gossa (Secondo fanciullo) e Isabel Marta Sodano (Terzo fanciullo).
Bene il Coro del Teatro Regio diretto da Andrea Secchi ed i Solisti del Coro di voci bianche.

Sesto Quatrini ha diretto l’orchestra del Teatro Regio attraverso un gesto fermo ed una visione convincente e giustamente onirica della multiforme partitura mozartiana.
Un pubblico coinvolto ed entusiasta, come poche volte accade ormai di notare in teatro, portava forse ad interrogarsi su questo sistema di trasmissione teatrale che, pur concentrandosi sull’aspetto visivo (oggi sempre più vincente), sembra non banalizzare forme e contenuti e che, specialmente per il giovane pubblico, potrebbe rivelarsi un interessante e significativo volano.