Recensioni - Opera

Torino propone la Bohème delle origini

Scene e costumi ripresi dai bozzetti del 1896

Una scelta che avrebbe potuto essere occasione di maggior approfondimento quella del Teatro Regio di Torino che ha inaugurato la sua stagione 2022 con una nuova produzione di Bohème, l’opera che proprio su quel palcoscenico debuttò nel 1896, riproponendo le scene ed i costumi di A.Hohenstein realizzati in base ai bozzetti e ai figurini originali disegnati per la prima assoluta e custoditi dall’Archivio Storico Ricordi di Milano.
 
Se saggiamente declinata questa proposta poteva infatti offrirsi al pubblico quasi come uno spaccato di storia cittadina di primi Novecento, divenendo fulcro di tutta una serie di appuntamenti parateatrali empatici e comunicativi in grado di attirare un'utenza maggiormente diversificata e curiosa.
Il bel lavoro fatto da Leila Fteita (coadiuvata da Rinaldo Rinaldi) alle scene e da Nicoletta Ceccolini ai costumi è sembrato invece mancare di quello spirito che una regia, qui firmata da Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, oggi dovrebbe sempre offrire.
La sensazione generale, non sgradevole ma neanche drammaticamente convincente, era quella di assistere ad un’interessante e suggestiva esposizione priva però di quella riflessione che ne avrebbe indubbiamente sostanziato il contenuto.
Bisogna altresì dire che, interrotta durante le prove nel marzo 2020 e poi presentata in video streaming nel gennaio 2021, questa ripresa dimostra la voglia di ricominciare di questo importante spazio teatrale, peraltro dopo la chiusura di un’importante fase di lavori di adeguamento e rinnovamento.
 
Il cast impegnato in palcoscenico è apparso, con alcune eccezioni, ripetere lo stesso schema registico, presentando vocalità interessanti ma prive della necessaria profondità espressiva.
Il tenore Valentin Dytiuk quale Rodolfo ha sfoggiato uno strumento interessante che, specie nel registro acuto, trovava giusto squillo e brillantezza ma che nel fraseggio mostrava una sostanziale banalità d’espressione assolutamente insufficiente a tratteggiare un personaggio che vive di slanci e passioni come il giovane poeta.
Discorso simile per la Mimì interpretata dal soprano Maritina Tampakopoulos la cui vocalità rotonda e piena ed il canto sorretto da giuste intenzioni restavano sostanzialmente privi di quell’animo e di quel profondo ed empatico sentire fondamentale in Puccini.
Volenterosa la prestazione di Valentina Mastrangelo quale Musetta che specie nel IV Atto ha cercato ed ottenuto maggior intensità.
Interessante il Marcello dipintoci dalla morbida vocalità del baritono Biagio Pizzuti, sempre molto attento ad equilibrare il suo canto con un accento sensibile e perfettamente centrato sulla parola. Molto bene anche il riflessivo e dolente Colline tratteggiato da Riccardo Fassi attraverso un canto malinconico e davvero ricco di sfumature, così come puntuale risultava lo Schaunard di Vincenzo Nizzardo.
Brillantemente cesellata attraverso una maschera di ironica bonomìa si poneva la sagace interpretazione di Matteo Peirone quale Benoit ed Alcindoro.
Completavano il cast: Sabino Gaita (Parpignol), Desaret Lika (Sergente dei doganieri) e Marco Tognozzi (Doganiere).
 
Bene il Coro del teatro diretto da Andrea Secchi e quello di voci bianche guidato da Claudio Fenoglio.
 
Pier Giorgio Morandi ha guidato con professionalità l’orchestra del Teatro Regio ottenendo a tratti, anche grazie ad una sensibile attenzione e misura nell’uso espressivo delle pause, momenti di bell’intensità.
 
Teatro gremito ed applausi per tutti gli interpreti ed il direttore.
 
Torino,20/02/2022