Le insidie di un’opera sempre imprevedibile
Il Teatro Municipale di Piacenza è una perla rara nel panorama dei teatri di tradizione del nord Italia. Dove altri arrancano, specie in Lombardia, con stagioni asfittiche e di dubbia qualità artistica, il piccolo Teatro Municipale di Piacenza si permette il lusso di mettere in scena la trilogia popolare di Verdi come introduzione di una stagione lirica con sei titoli d’opera e cinque balletti. Dieci titoli d’opera insomma, ove i teatri Lombardi viaggiano con quattro. I numeri parlano da soli.
L’intera trilogia è stata affidata al regista Roberto Catalano, coadiuvato dalle scene di Mariana Moreira e dai costumi di Veronica Patuelli. Allestimenti semplici, ma efficaci e di gusto sobrio e definito. Prevalgono sempre i toni del bianco e del nero, con luci accurate e movimenti scenici stilizzati ma sempre appropriati e ben calibrati. In particolare in Rigoletto troviamo la personificazione onirica della vendetta: una sorta di diafano demone in nero che perseguita Rigoletto, macchiando di tenebra al suo passaggio le scenografie candide. Di conseguenza la scena si incupisce, si disgrega, compie un’inesorabile metamorfosi dai toni del bianco al nero quasi totale dell’ultimo atto. Per il resto pochi e semplici elementi connotano la scena: un letto, una chaise longue, una scala. Niente di soverchiamente originale, d’accordo, ma tutto coerente e organizzato con gusto.
Di rango i cantanti coinvolti nell’operazione, ma Rigoletto è opera insidiosa e non sempre le buonissime intenzioni si trasformano in realtà.
Nella serata a cui abbiamo assistito troneggia su tutti la classe di Francesco Meli, che pur indisposto, ha una marcia in più rispetto agli altri sia come volume che come emissione vocale e sicurezza interpretativa. Un piccolo incidente nella cabaletta di inizio secondo atto lo spinge a venire personalmente a scusarsi e spiegare che è indisposto all’inizio del terzo atto. Di conseguenza affronta il terzo atto con prudenza e omettendo qualche nota. Grandi applausi di stima per lui nel finale.
Rigoletto era Ernesto Petti. Il baritono salernitano ha bella voce e discreta presenza, affronta il primo atto in modo prudente e sfoga la voce nelle parti clou del secondo. Purtroppo l’interpretazione risulta generica, poco coinvolta, distaccata. Il ruolo è decisamente da affinare.
Maria Novella Malfatti canta tutte le note, ma appare sempre preoccupata, sul chi vive. Troppo concentrata sul canto, non riesce veramente a comunicare e a coinvolgere. Adolfo Corrado è uno Sparafucile corretto a cui tuttavia manca il peso vocale per la parte, soprattutto sulle note gravi. La Maddalena di Irene Savignano difetta di volume e nel terzo atto è costantemente coperta dal tenore. Fra i comprimari si segnala il bravo Omar Cepparolli, che ci regala un Monterone di tutto rispetto.
Francesco Lanzillotta dirige con perizia l’Orchestra Sinfonica di Milano. Ottimo il coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.
Applausi nel finale per una serata particolare, per certi versi inaspettata. Questo è il bello dell’Opera e del teatro dal vivo.
Raffaello Malesci (Mercoledì 5 Novembre 2025)