Recensioni - Opera

Tristan und Isolde tra passione e autodistruzione

Kirill Petrenko ha diretto il capolavoro wagneriano in uno straordinario allestimento alla Bayrische Staatsoper

Spettacolo inaugurale del Münchner Opernfestspiele2021, la nuova produzione del Tristan und Isolde di Richard Wagner ha una valenza particolare: oltre a segnare il debutto dei due protagonisti nel titolo coincide con l’ultima produzione diretta da Kirill Petrenko in qualità di direttore musicale della Bayrische Staatsoper.

È un rapporto complesso ai limiti dell’autodistruzione quello che il regista Krzysztof Warlikowski ha proposto in questo allestimento ambientato a metà del secolo scorso. Il conflitto tra attrazione ed impossibilità di amarsi emerge in maniera preponderante.  Elemento scatenante è il dramma irrisolto della perdita del padre da parte di Tristan, come viene esplicitato nel terzo atto, in cui viene rievocato il suo passato all’orfanotrofio sotto la tutela di Kurwenal, rappresentato in veste di sacerdote. Un dramma che ricorre e che impedisce il compimento della passione tra i due protagonisti. In occasione del loro primo incontro in cui Isolde salvò la vita a Tristan ferito, scattò il colpo di fulmine tra i due ma probabilmente iniziò anche loro rapporto malato: lui portato all’autodistruzione, lei che cerca di salvarlo anche da sé stesso.

L’evoluzione del loro rapporto viene rievocata attraverso videoproiezioni che accompagnano lo svolgimento dell’azione. È una camera d’albergo l’elemento ricorrente, la camera degli incontri clandestini tra i due amanti; incontri che però non vengono mai consumati, ed infatti non c’è mai contatto fisico, né nei video né sulla scena. Anche nei momenti di maggiore intimità vi sono sempre pochi centimetri che separano le loro mani. Il loro rapporto non è destinato a concretizzarsi in questa vita ed infatti, dopo il primo tentativo di suicidio cui assistiamo al termine del duetto del secondo atto -tentativo interrotto dall’arrivo di Marke- sarà l’ultima videoproiezione nel finale a mostrarceli a letto, trasfigurati dopo la morte, finalmente vicini e sorridenti.

Dal punto di vista musicale spicca la magnifica direzione di Kirill Petrenko che trova un’efficace sintonia con l’impostazione registica. La sua è una lettura analitica, soprattutto nel primo atto, in cui l’orchestra sembra voler scandagliare le inquietudini che albergano nelle coscienze dei protagonisti e lo fa attraverso una concertazione estremamente varia e ricca di sfumature, cesellando ogni minimo dettaglio senza però mai perdere la visione d’insieme. Il suono sgorga fluido, naturale: è una lunga continua arcata che conquista e trascina all’interno della vicenda. Quello di Petrenko è un Tristan umano, ricco di tensione, che poco concede all’amore idealistico e che anche nei momenti più passionali sembra tradire un’inquietudine che impedisce di vivere il sentimento sino in fondo.

Ideale la coppia dei protagonisti che rivela una totale sintonia, maturata nel corso di svariate produzioni condivise sul palcoscenico nel corso degli ultimi lustri. Anja Herteros è una Isolde intensa, volitiva, che trasmette ogni emozione del proprio personaggio. Il ruolo è impervio e, nonostante il registro acuto mostri qualche segno di affaticamento nel finale, la sua rimane un’interpretazione maiuscola. La vocalità di Jonas Kaufmann si distingue da quella del classico tenore wagneriano. Il suo è un Tristan dal timbro brunito con inflessioni baritonali, ma supportato da una tecnica impeccabile. Se l’acuto non ha lo squillo bronzeo di un Windgassen, il fraseggio è straordinario e lo scavo psicologico all’interno delle nevrosi del personaggio è efficacissimo. Da sentire il suo attacco di So starben wir, um ungetrennt giocato sul filo della mezzavoce o tutto il terzo atto. Wolfgang Koch è molto efficace nel tratteggiare un Kurwenal quasi brutale, mentre Okka von der Damerau è una Brangäne di grande spessore vocale e interpretativo. Bravissimo Mika Kares nel lungo e dolente arioso di Marke e rimarchevoli anche il Melot di Sean Michael Plumb e il Marinaio di Manuel Günther.

Al termine una Bayrische Staatsoper completamente esaurita, per quanto concedevano le normative anti covid, ha riservato ai protagonisti 20 minuti di applausi entusiasti.