
Un evocativo notturno quattrocentesco incornicia uno spettacolo discontinuo dal punto di vista interpretativo e musicale. Si distingue la Leonora di Sara Cortolezzis
La stagione lirica novarese 2023 apre i battenti con il Trovatore debuttato a Jesi lo scorso ottobre, coproduzione della Fondazione Teatro Coccia con Fondazione Pergolesi Spontini, Teatro Sociale di Rovigo e Teatro Comunale “Mario Del Monaco” di Treviso.
Un Verdi tutto sommato nel solco della tradizione quello proposto dalla regista Deda Cristina Colonna, che inquadra la vicenda nelle notturne atmosfere quattrocentesche descritte dal libretto, tratteggiate con essenziale eleganza dalle scene di Domenico Franchi.
Insieme ad alcuni elementi funzionali nel distinguere i vari spazi (l’albero nel giardino, i tronchi nell’accampamento zingaro, i gradoni di fortezze e conventi), si avvicendano su un palco quasi interamente spoglio sagome scorrevoli di volte e pilastri, rievocando il rigore dell’architettura rinascimentale con una sintesi visiva dal sapore grafico.
Fondamentali nel rendere suggestivi questi spazi così austeri sono le curatissime luci di Fabrizio Gobbi, in grado di rendere alla perfezione l’aura lunare e cupa che avvolge il dramma. D’impatto anche le note di colore date dai costumi (sempre a firma di Franchi), nonostante tessuti e fogge non siano entusiasmanti.
Interessante infine l’utilizzo di un tulle semitrasparente che, oltre a dare visivamente una profondità di campo di un certo impatto, consente di raccontare diversi livelli narrativi e spaziali in contemporanea, con ottimi esiti in particolare nelle scene della serenata, del rapimento e soprattutto del Miserere, con Leonora in proscenio e Manrico con gli altri prigionieri in secondo piano.
Nota dolente della regia - purtroppo centrale nell’economia di uno spettacolo d’impianto così minimale - è l’insufficiente scavo psicologico sui personaggi: i cantanti sembrano costantemente costretti a replicare gesti scenici imposti loro con un intento coreografico più che come guida utile nel tratteggiare al meglio ciascuna personalità, scadendo in un’infelice resa da recita scolastica.
Non aiuta comunque in questo senso un cast che nel complesso non brilla per estro attoriale e interpretativo, a partire da Gaston Rivero nel ruolo eponimo. Il suo è un Manrico di stampo esclusivamente eroico che tende ad affidarsi quasi in toto alla muscolarità della propria voce, sacrificando qualsivoglia ricercatezza nel fraseggio.
Altrettanto deludente in scena Jorge Nelson Martinez Gonzáles, un Conte di Luna ingessato e privo di carattere: non pervenuti i languori de “Il balen del suo sorriso”, né “le furie nel cor” ove sarebbe occorso. Un peccato perché lo strumento è davvero interessante, con una linea di canto pulita che ha una sua nobiltà ed è impreziosita da un timbro caldo e brunito piuttosto raro.
Passando alle protagoniste femminili, non titubiamo nell’eleggere la Leonora di Sara Cortolezzis trionfatrice (o salvatrice) della serata. Stupisce sin dalle prime note sfoggiando una voce insolitamente chiara per questo ruolo, la cui duttilità le conferisce tuttavia grande corposità nei centri e squillo penetrante nelle puntature in acuto. Il giovane soprano veneto spicca anche per musicalità e senso drammatico, trovando il culmine in un “D’amor sull’ali rosee” di struggente intensità.
Carmen Topciu è un’Azucena ben caratterizzata, a cominciare dalla sua sanguigna interpretazione di “Stride la vampa”. Il mezzosoprano rumeno è dotato di voce notevole particolarmente strutturata nel registro medio-basso, ma la sua prova è fortemente inficiata da evidenti forzature in acuto che compromettono (anche pesantemente) l’intonazione in più punti.
Corretto il Ferrando di Deyan Vatchkov, come anche gli interventi dei comprimari tra cui segnaliamo almeno l’ottima prova di Francesco Marsiglia (Ruiz).
Altalenanti gli interventi del Coro As.Li.Co. preparato da Massimo Fiocchi Malaspina, primariamente dovuti ai numerosi scollamenti con la buca. Diversi i momenti di confusione anche nel coordinare gli interventi dei solisti, principale motivo per cui la concertazione di Antonello Allemandi lascia più di qualche perplessità, insieme a uno stacco dei tempi continuamente concitato che non valorizza minimamente il respiro drammatico della partitura. Unica eccezione il Miserere, che risulta senza dubbio il momento musicalmente più riuscito dello spettacolo, con una funerea solennità ben resa dall’Orchestra Filarmonica Italiana.
Cordiale il saluto del pubblico domenicale al termine, con picchi d’entusiasmo per Sara Cortolezzis.
Camilla Simoncini