Recensioni - Opera

Un Inganno di classe

Glauco Mauri e Roberto Sturno in un eccellente allestimento di Sleuth di Shaffer al Teatro Nuovo per la rassegna Il Grande Teatro

La compagnia Mauri-Sturno può essere considerata a pieno titolo una delle ultime eredi della grande tradizione teatrale italiana delle compagnie di giro. All'interno di una realtà caratterizzata  dalle (sempre più risicate) produzioni dei teatri stabili e da gruppi il più delle volte estemporanei, che si costituiscono per una produzione e durano al massimo per una tournée, Glauco Mauri e Roberto Sturno, ormai da 30 anni, allo scoccare di ogni stagione si presentano con una nuova produzione realizzata con degli standard qualitativi che è sempre più raro incontrare.

Anche questa nuova messinscena di Sleuth-l'inganno dell'inglese Anthony Shaffer, cui abbiamo avuto occasione di assistere al Teatro Nuovo, ha pienamente confermato le aspettative.
Il testo, dei primi anni '70, si potrebbe definire una "commedia degli intrighi" nella quale un sottile duello, di natura più psicologica che fisica, tra uno scrittore e l'amante di sua moglie porta ad un continuo cambiamento di fronte sottolineato da un susseguirsi di colpi di scena. Una formula ripresa in seguito con discreta fortuna anche dal francese Eric Emmanuel Schmitt in testi quali "Variazioni enigmatiche" (già messo in scena da mauri e Sturno alcuni anni fa) o "Piccoli crimini coniugali".
Da sottolineare innanzitutto in questa  produzione la maiuscola prestazione dei due attori, in scena da soli per oltre due ore, senza che per un solo istante si sia verificato. Glauco Mauri è stato un Andrew Wyke dapprima sfacciato e sbruffone per poi lasciar trasparire nella seconda parte una vena più umana ed introspettiva, che però non è stata sufficiente ad evitargli l'ultimo scatto d'orgoglio da cui è scaturito il tragico finale. Roberto Sturno ha invece dimostrato ancora una volta di essere attore tanto intenso quanto versatile, rivestendo con grande efficacia i panni di ben 4 personaggi diversi, ognuno dei quali in realtà era un cammuffamento del mite Milo Tindle, rivelatosi nel corso della vicenda giocatore sempre più accanito.
Mauri, che come d'abitudine firmava anche la regia, ha impostato lo spettacolo su ritmo ed ironia, riuscendo sempre a mantenere il tono di "gioco beffardo", il che ha permesso di non far calare il ritmo anche in quei punti in cui, soprattutto all'inizio del secondo atto, il testo ha mostrato qualche cedimento, riprendendo alcuni schemi già esposti nella prima parte e diventando quindi un po' ripetitivo.
Elegante e raffinata la scenografia di Giuliano Spinelli, usata abilmente da Mauri per creare alcuni efficaci "coup de theatre" nella migliore tradizione del grande teatro all'italiana.
Al termine un Teatro Nuovo abbastanza pieno, ma non quanto lo spettacolo avrebbe meritato, ha tributato applausi calorosissimi ai due interpreti che hanno ulteriormente consolidato un rapporto che dura con Verona ormai da decenni.

Davide Cornacchione 6 marzo 2010