Recensioni - Opera

Un Orfeo nella realtà quantistica inaugura il Monteverdi Festival

A Cremona il capolavoro monteverdiano con una regia ispirata al paradosso di Schrödinger. Eccellente l’aspetto musicale

La nuova produzione dell’Orfeo di Monteverdi, che in un Teatro Ponchielli quasi esaurito ha inaugurato l’edizione 2024 del Monteverdi Festival, era ispirata, secondo le note del regista Olivier Fredj, al paradosso del gatto di Schrödinger: un paradosso di fisica quantistica che apre alla teoria degli universi paralleli, secondo la quale tutto esiste contemporaneamente, pertanto, semplificando, è solo lo sguardo dello spettatore a determinare se un gatto chiuso in una scatola in cui è contenuta una fialetta di veleno è vivo o morto, altrimenti, finché non lo si vede con i propri occhi l’animale potrebbe essere contemporaneamente sia l’uno che l’altro.

Fredj gioca quindi sulla doppia morte di Euridice: dato che il pubblico non assiste alla prima, poiché avviene fuori scena, questa potrebbe anche non essere avvenuta ed essere reale solo la seconda provocata dal voltarsi di Orfeo, evento quest’ultimo che si verifica sul palcoscenico. Da qui la presenza pressoché costante dell’occhio, che domina le belle videoproiezioni che in più di un’occasione fungono da fondale e lo sdoppiamento di Euridice che, complice il fatto di essere interpretata dalla stessa cantante, è allo stesso tempo la Musica -non a caso il cambio d’abito nel primo atto avviene in scena- al fianco della quale Orfeo sale in cielo per intercessione di Apollo in una apoteosi che lascia supporre che il poeta, che chiude l’opera imbracciando una tiorba, sia più preoccupato della sua arte che dell’amore. Ma anche lo stesso Orfeo sembra ad un certo punto coinvolto nel gioco della moltiplicazione: infatti quando si trova davanti alla porta del regno degli inferi appare una serie di figure in abito seicentesco che sorreggono una lira che, almeno a me, hanno fatto pensare ad una sincronicità degli universi che racchiude contemporaneamente i vari Orfei apparsi sulla scena nel corso della storia della rappresentazione di quest’opera. Ed infatti anche in questo spettacolo non manca l’elemento metateatrale, che prevede che Caronte e la Speranza, che accoglie Orfeo munita di specchio per amplificare l’idea di doppio, siano vestiti come tecnici di palcoscenico e che il finale, a rivelare totalmente la finzione del tutto, si svolga a palcoscenico vuoto -idea non originalissima- con le luci di sala accese e gli interpreti rivolti al pubblico sfondando totalmente la quarta parete.

In sostanza una regia molto -forse troppo- intellettuale, disseminata di spunti anche interessanti che però faticano a coagularsi all’interno di un percorso chiaro ed intelligibile, che però si avvantaggia di un suggestivo, benché cupo, allestimento firmato da Thomas Lauret che ha nelle scene ambientate nel regno dei morti i suoi momenti migliori e di maggior effetto. Per il resto si apprezza l’efficace gestione di cantanti e masse corali che ha il pregio di non stravolgere o forzare inutilmente la drammaturgia.

Vero motivo di interesse di questa edizione è però la parte musicale di eccellente livello grazie alla magnifica prova offerta dall’orchestra Il Pomo d’oro, diretta da un ispiratissimo Francesco Corti. La concertazione, secondo i canoni delle esecuzioni storicamente informate, è molto attenta al dettato monteverdiano ma allo stesso tempo è ricca di accenti e di modulazioni che la arricchiscono in espressività. Grande varietà di colori, un’agogica a tratti personale ma sempre pertinentissima nelle pause e nelle sospensioni ed un suono morbido e nitido sorreggono un canto attento alla parola e cesellato in maniera impeccabile.

Il merito va condiviso con un cast costituito in buona parte dai vincitori del Concorso Cavalli Monteverdi del 2023 che in più di un’occasione hanno superato le aspettative, a partire dal bravissimo Marco Saccardin, un’Orfeo dal timbro brunito ed eccellente nel fraseggio che conquista sia nei momenti drammatici che in quelli più lirici. Eccellente anche la Messaggera di Margherita Sala, espressiva e partecipe nel recare il suo ferale messaggio mentre Jin Jayu ben si disimpegna nel doppio ruolo della Musica e di Euridice grazie ad un timbro luminoso cui forse si richiederebbe maggior volume. Paola Valentina Molinari e Rocco Lia donano incisività ed autorevolezza ai ruoli di Proserpina e Plutone mentre Alessandro Ravasio è un Caronte dalla voce profonda e ricca di armonici e Laura Orueta convince pienamente nel ruolo della Speranza. Rimarchevoli le prove di Giacomo Nanni nel triplice ruolo di Apollo, quarto pastore e terzo spirito, di Emilia Bertolini in quello della Ninfa e dei pastori/spiriti Roberto Rilievi, Matteo Straffi, Sandro Rossi.
Calorosa al termine la risposta da parte del pubblico che ha tributato applausi a tutti gli interpreti con punte di entusiasmo per Saccardin e Corti.