Recensioni - Opera

Un ballo in maschera in memoria di Gustavo e di Graham

Al Festival Verdi di Parma la regia postuma di Vick del capolavoro verdiano nella versione originale svedese

Il Festival Verdi 2021, il primo dopo la pandemia, è stato incentrato su “Un ballo in maschera” unica produzione in forma scenica in programma. Uno spettacolo articolato che ha finalmente potuto vedere sul palcoscenico cantanti, danzatori e mimi, così che si può iniziare a sperare di esserci lasciati gli “allestimenti covid” alle spalle.

Un ballo in maschera è un'opera dalla nascita piuttosto travagliata. Originariamente ispirata alla storia vera di Gustavo III re di Svezia, prima di andare in scena l’opera dovette subire numerose modifiche per superare la censura, prima fra tutte lo spostamento della vicenda in terra americana, poiché parlare dell’uccisione di un re (soprattutto se estremamente libertario e dai gusti sessuali non del tutto ortodossi) era argomento assai sconveniente. Senza voler ripercorrere questo excursus storico-musicale, si può per certi versi affermare che anche quest'ultima messinscena ha sofferto un iter difficoltoso. Dalle note si evince infatti che la regia non è pienamente attribuibile a Graham Vick, ma nemmeno a Jacopo Spirei. Il primo infatti è purtroppo prematuramente scomparso, mentre il secondo, che è stato a lungo il suo assistente, non si dice certo di aver interpretato in maniera esaustiva il volere del regista. E comunque, chiunque abbia un minimo di pratica teatrale sa che molto spesso si parte da un'idea e poi si approda a un'altra strada facendo.

La particolarità di questa nuova produzione consiste nell’abbinamento tra l’edizione critica curata da Ilaria Narici ed il libretto originale concepito da Verdi e Antonio Somma per la prima versione di ambientazione svedese. La scena ideata da Richard Hudson è basata su una struttura semicircolare: il ferro di cavallo dei palchi e del loggione del Teatro Regio di Parma trova sua ideale prosecuzione in un fondale concavo con porte in basso e una galleria continua in alto dove viene alloggiato il coro. La vicenda si risolve per tutti e tre gli atti attorno al Mausoleo di Gustavo III che ruota su se stesso e che viene di volta in volta illuminato a monocromo dalle luci ideate da Giuseppe Di Iorio. Fantasiosi i costumi ideati sempre da Hudson che ritraggono una corte svedese dai tratti trasgressivi, in cui regna la libertà sessuale, osservata dall’alto da un coro immobile ed austero. Un contrasto interessante che però rimane accennato e che sicuramente nell’idea originaria di Vick avrebbe avuto uno sviluppo più compiuto e articolato.

Di grande valore l’aspetto musicale.  Piero Pretti ha interpretato il ruolo di Gustavo III in maniera sicura; la sua vocalità è risultata del tutto naturale e spontanea. Maria Teresa Leva ha timbro rigoglioso e la sua voce sfoggia una tavolozza musicale ricca e sfumata. I suoi acuti sono risultati di grande forza e di sicuro impatto sul pubblico ed anche dal punto di vista interpretativo la resa è stata ottima. Amartuvshin Enkhbat nel ruolo del Conte ha fornito una prova a dir poco eccellente. La sua voce calda e il suo fraseggio sicuro ne fanno un perfetto interprete di questo ruolo. Forse l'unica smagliatura resta l'interpretazione a tratti distaccata. Eccellenti anche Anna Maria Chiuri nel ruolo di Ulrica, una sibilla affascinante e intrigante e Giuliana Gianfaldoni, efficace Oscar.

Il maestro Roberto Abbado ha diretto ottimamente la Filarmonica Arturo Toscanini supportata dall'Orchestra Rapsody in una lettura in cui i toni drammatici hanno prevalso su quelli più lirici e romantici. Ottima come sempre la prova del Coro del Teatro Regio preparato da Martino Faggiani.