Recensioni - Opera

Un delizioso Falstaff tascabile

L’opera-testamento di Verdi nel piccolo scrigno di Busseto convince per spigliatezza e vitalità

Due sono le prerogative di un festival lirico dedicato ad uno specifico autore: la riscoperta e la sperimentazione. Riproporre titoli desueti e misconosciuti o realizzare allestimenti che possano fornire nuove chiavi di lettura o nuova linfa a partiture ampiamente consolidate nel repertorio sono le caratteristiche fondamentali per distinguersi da una normale stagione lirica. Che poi non sempre sia possibile raggiungere questi obiettivi è un’altra questione, ma almeno bisogna provarci.

Nel solco della sperimentazione, in questo caso riuscitissima, si inserisce il gustoso Falstaff.Tutto nel mondo è burla che è andato in scena al Teatro Verdi di Busseto in occasione dell’edizione 2023 del Festival Verdi di Parma. Uno spettacolo che ha fatto della leggerezza e della compattezza i suoi punti di forza: una versione tascabile con scenografie essenziali ed un'orchestra ridotta, nata dalla proficua sinergia tra il regista Manuel Renga ed il direttore Alessandro Palumbo, in cui i cantanti tornano i veri protagonisti.
L'ambiente in cui si svolge la vicenda, un interno borghese dell’Inghilterra degli anni ‘50 progettato da Aurelio Colombo, si basa su alcuni tavoli che fungono anche da praticabili su cui il minuzioso lavoro di regia fa agire i protagonisti. È raro assistere ad uno spettacolo altrettanto vitale in cui la gestualità è così ben definita ed in cui i personaggi sono così efficacemente delineati. Nulla viene lasciato al caso ed anche la più apparentemente insignificante delle controscene è costruita con cura, al punto che anche due figure cui solitamente dopo le prime battute non si presta più tanta attenzione, quali Bardolfo e Pistola, qui entrano a pieno titolo a far parte dei protagonisti della vicenda grazie anche all'apporto degli ottimi Roberto Covatta ed Andrea Pellegrini, mercuriali sulla scena ed impeccabili dal punto di vista vocale.

Poiché a scarsità di mezzi si risponde con ricchezza di idee, la scena del tuffo nel Tamigi è risolta in modo simbolico da uno sbuffo di coriandoli azzurri mentre il parco di Windsor nel terzo atto è rievocata da un quadro raffigurante la quercia di Herne sopra cui sono appese due corna di cervo. Una lettura di forte impatto teatrale che, pur rinunciando ad un naturalismo didascalico, si dipana con grande coerenza ed efficacia soprattutto nei primi due atti, mentre nel terzo, seppure ottimamente costruito, sembra svolgersi in modo più convenzionale.

Assolutamente rimarchevole anche l’aspetto musicale grazie alla concertazione dinamica, espressiva e ricca di colori che Andrea Pellegrini imprime ad un organico orchestrale normalmente più adatto a Kurt Weill che a Verdi, costituito dal Quintetto d’archi Kiyv Virtuosi corroborato da una manciata di fiati dell’Orchestra Toscanini ed un pianoforte: tredici eccellenti esecutori protagonisti di un’eccellente esecuzione.
Di pregio anche il cast che vede in Elia Fabbian un Falstaff carismatico dal timbro morbido e pastoso, che rende con grande efficacia il carattere spavaldamente malinconico dell’eroe shakespeariano. Burbero e incisivo è il Ford di Andrea Borghini che spicca nel suo monologo, mentre Gregory Bonfatti dà corpo e voce ad un Dottor Cajus gustoso e divertente. Nel versante femminile spicca Ilaria Alda Quilico, Alice dalla voce ben proiettata e dalla bella linea di canto, affiancata dalla Meg spigliata di Shaked Bar e dalla Quickly simpaticamente intrigante di Adriana di Paola. Pregevole anche la coppia degli innamorati costituita da Veronica Marini (Nannetta) e Vasyl Solodikyy (Fenton).
Un progetto vincente per quattro repliche tutte sold out, salutate al termine da un pubblico entusiasta e prodigo di applausi.