Recensioni - Opera

Una Tosca di repertorio al Teatro alla Scala

Rari momenti di slancio veramente intensi: la ripresa della produzione che inaugurò la stagione 2019-2020 è passata senza lasciare segno

La regia di Davide Livermore, ripresa da Alessandra Premoli, era stata pensata per la televisione ma in teatro, adesso come allora, perde ogni fascino, se mai ne ha avuto. Sembra di assistere a una saga di Harry Potter, con continui movimenti scenici che disturbano l'ascolto, sia perché in qualche occasione sono rumorosi, sia perché il costante andare e venire nel primo atto distoglie l’attenzione dall'azione e toglie efficacia all'effetto della frase musicale. L'unico momento affascinante è all'apertura del sipario, quando nel buio assoluto si accende una luce e si vede l’Angelotti che corre verso quella che lui spera essere la libertà.

Nel finale Tosca non cade da Castel Sant'Angelo, ma viene "assunta in cielo" stagliata in una luce intensa, con il vestito che svolazza in una nuvola di fumo bianco. “La vergine degli angeli” mi sembra faccia parte di un'altra opera!

Sovraccarica l'uccisione di Scarpia, che dovrebbe essere un momento di difesa, un atto istintivo: in questa edizione viene ucciso con 5 o 6 coltellate e poi strozzato! Niente candelabro o crocifisso, solo la stanza che scompare verso il fondo del palco disturbando con il rumore del macchinario le note drammatiche del finale dell'atto. Le scene, firmate da Gio' Forma, sarebbero anche belle ma il loro continuo movimento disturba. I costumi sono di Gianluca Falaschi e riflettono la consuetudine delle odierne messe in scena, mischiando il passato col presente. I colori degli abiti di Tosca riprendono il nostro tricolore, ad indicare l'eroina italica che si batte per la libertà. Belli i giochi di luci di Antonio Castro. Ottimi ma per me inappropriati i video di D-Wok.

Musicalmente validissima la direzione del Maestro Michele Gamba, che ha trovato il colore pucciniano e saputo sottolineare con la concertazione i momenti salienti dell'opera. Ha trovato il giusto equilibrio tra il palcoscenico e la buca e ha saputo condurre l'orchestra del Teatro alla Scala in una ottima performance. Il suono era limpido e mai troppo forte.

Bravissimo come sempre il Coro del Teatro alla Scala magistralmente preparato dal Maestro Alberto Malazzi.

Il soprano Elena Stikhina, pur con un canto corretto, non ha entusiasmato il pubblico, tanto che dopo l’aria “Vissi d'Arte” ha ricevuto solo un timido applauso. Pur scenicamente nella parte, è apparsa poco incisiva nel canto e non ha saputo emozionare.

Il tenore Fabio Sartori ha ricevuto l'applauso più intenso e convinto durante lo spettacolo dopo "E Lucean le stelle", cantato in maniera impeccabile, svegliando l’assopito o forse annoiato pubblico. Tutta la sua interpretazione è stata validissima con una puntatura in “Vittoria, vittoria" che sembrava una pugnalata inferta al nemico. Decisamente buona la sua recita.

Sotto tono lo Scarpia di Amartuvshin Enkhbat. Questo baritono ha una bella voce e una notevole potenza vocale, ma non emoziona, canta senza enfasi e fa uno Scarpia per niente cinico e perverso. Forse aveva la testa al recital che avrebbe dovuto cantate a Bilbao il giorno seguente, ma sicuramente non è stato incisivo come in altre occasioni.

Piacevolissimo, una vera chicca il Sacrestano di Marco Filippo Romano, sempre stupendo qualsiasi ruolo affronti. Bravo Carlo Bosi come Spoletta, un comprimario di grande spessore.

Degni di essere citati Li Huanhong come Ancelotti, Costantino Finucci come Sciarrone, Xhieldo Hyseni come Carceriere e Valentina Diaz come pastore.

L’atto migliore è stato il terzo, il pubblico alla fine ha premiato tutti gli artisti con applausi convinti.

Buona serata, ma da vecchia loggionista, dalla Scala mi aspetto di più.