Recensioni - Opera

Una badante tra passato ed attualità

Nell’ultimo testo di Cesare Lievi convivono la quotidiana realtà del mondo delle badanti con il dramma del fascismo e quello di un'impossibile eredità

Dopo la prima assoluta in lingua tedesca a Wiesbaden lo scorso autunno, abbiamo potuto assistere a Brescia alla prima rappresentazione italiana de “La badante”, l’ultimo testo scritto dal regista-drammaturgo Cesare Lievi.

Proseguendo una tematica a lui cara, affrontata già negli ultimi due suoi lavori, ovvero quella dell’immigrato costretto ad integrarsi in un paese straniero, l’autore in quest’opera affronta con lucida ironia il rapporto tra un’anziana ricca signora e la sua badante ucraina.

 

Rimescolando la successione cronologica degli eventi, come peraltro è tipico del suo stile, Lievi ricorre ad un machiavellico progetto riguardante l’eredità della protagonista per creare un giallo dai sottili risvolti psicologici, all’interno del quale si innestano i rapporti con i figli ed il ricordo di un passato legato alla Repubblica di Salò che continua ad affiorare.

 

Ad una prima parte giocata sul filo di una comicità contenuta ma pungente, nella quale emergono le ostilità della protagonista nei confronti della badante, fa seguito una seconda parte in cui i figli si trovano, dopo la morte della madre, a confrontarsi con una situazione ereditaria tanto spiazzante quanto misteriosa, la cui risoluzione affiorerà nella terza parte, nella quale l’anziana signora, sospesa tra il peso del passato ed un futuro apparentemente senza prospettive, cerca il modo per dare ancora un senso al suo agire.

In questo suo nuovo testo, a mio avviso il più riuscito di quelli appartenenti alla cosiddetta “Trilogia dello straniero”, Lievi riesce a coniugare una vicenda di quotidiana attualità, peraltro resa da dialoghi estremamente verosimili nella loro naturalezza, con i drammi che fanno parte della nostra storia recente e che in parte sono ancora radicati in quella zona del lago di Garda che rappresentò l’ultimo baluardo del fascismo, non a caso il paese di Salò viene qui definito “città di morti”.

Da qui nasce il problema dell’eredità, vista non solo da un punto di vista economico, ma soprattutto storico e morale, un’eredità che i figli non saprebbero gestire, o forse tramandare, e che quindi è destinata a prendere una via diversa da quella prevista.

Decisamente all’altezza la messinscena dello spettacolo, curata dallo stesso autore e prodotta dal Centro Teatrale Bresciano. La vicenda è stata resa attraverso una regia molto pulita, misurata e lineare (forse un po’ troppo) inserita nella bella, ed in parte claustrofobica,  scenografia di Josef Frommwieser, ed illuminata con la consueta abilità dalle luci di Gigi Saccomandi.

Dal punto di vista della recitazione la scena è stata dominata dalla maiuscola interpretazione di Ludovica Modugno nel ruolo dell’anziana protagonista. Nel tratteggiare il suo personaggio, che ricorda per molti versi certe figure monologanti di Thomas Bernhard, l’attrice ha dato prova di una tale gamma di sfumature, sia nella voce che nella mimica,  che le hanno consentito di fondere dramma e leggerezza in un perfetto equilibrio.

Accanto a lei si sono fatti apprezzare Leonardo De Colle ed Emanuele Carucci Viterbi nel ruolo dei figli, Paola Di Meglio in quello della nuora e Giuseppina Turra che impersonava la badante.

Decisamente positiva la risposta del numeroso pubblico che ha tributato applausi convinti a tutta la compagnia.

 

Davide Cornacchione 3 maggio 2008