Recensioni - Opera

Una moderna scala di seta

Il titolo rossiniano riproposto nei teatri del Circuito Lirico Lombardo nel celebre allestimento di Damiano Michieletto

Anche per questa stagione il Circuito Lirico Lombardo ha deciso di affiancare ai grandi titoli di repertorio un’opera che gode di minore frequentazione sui palcoscenici e la scelta è caduta sulla Scala di seta di Gioachino Rossini, cui, dopo il suo debutto cremonese, abbiamo assistito al Teatro Grande di Brescia.
L’allestimento proposto è quello realizzato da Damiano Michieletto per il Rossini Opera Festival del 2009, qui ripreso da Andrea Bernard.

L’azione si svolge in un appartamento di cui esiste solo la planimetria disegnata sul pavimento, stile Piccola città di Thornton Wilder, che durante l’ouverture viene arredato da un architetto e dal suo staff di operai. All’interno di questo spazio, in cui la presenza di porte e pareti viene mimata dai cantanti, l’azione viene gestita in modo estremamente dinamico e brillante grazie anche alle azzeccate caratterizzazioni che il regista crea per ciascuno dei singoli personaggi.
Suggestiva, anche se non originalissima,  l’idea di sostituire il fondale con uno specchio inclinato che permette di seguire l’azione anche dall’alto, rendendo ancora più evidente il gioco delle simpatiche controscene.
Va detto che un meccanismo così articolato richiederebbe un cast di cantanti che siano anche ottimi attori per rendere al meglio le varie gags, cosa che ai volenterosi ma ancora poco esperti interpreti di questa edizione è riuscita solo in parte, ma questo non ha più di tanto penalizzato la buona riuscita dell’insieme.
Unica scelta discutibile è stata l’introduzione di un intervallo non previsto, trattandosi di atto unico, che ha spezzato il frenetico susseguirsi degli eventi.
Il maestro Francesco Ommassini ha diretto un’orchestra dei Pomeriggi Musicali in forma tutt’altro che smagliante –fiati in primis- staccando dei tempi abbastanza lenti che hanno appesantito non di poco il clima di farsa. La proverbiale lucentezza rossiniana non ha trovato in questa concertazione un adeguato riscontro.
Appropriato il cast vocale che ha visto in Bianca Tognocchi una Giulia corretta e vocalmente ben impostata, seppur limitata nel volume. La cantante è spigliata ed il personaggio è adeguatamente reso, tuttavia le manca quel peso sulla scena che la renda vera protagonista.
Laura Verrecchia è una Lucilla dotata di un bel timbro e di un’emissione fluida. Dell’intero cast è forse quella che meglio di tutti ha assecondato le intenzioni del regista e, grazie anche ad una buona dose di autoironia, ha creato il personaggio più azzeccato.
Sul versante maschile è emerso per maturità vocale e scenica il Blansac di Leonardo Galeazzi, cui meritatamente è stata aggiunta l’aria “Occhietti miei vezzosi” all’inizio della seconda parte. Meno brillante ed incisivo anche se dotato di un adeguato strumento vocale il Dorvil di Francesco Brito.
Ben cantato e ben recitato nella sua caratterizzazione di cameriere filippino il Germano di Filippo Fontana. Apprezzabile, nonostante l’esiguità del ruolo, anche il Dormont di Manuel Pierattelli.
Al termine applausi convinti da parte del pubblico che riempiva il teatro.

Davide Cornacchione 22/11/2015