Recensioni - Opera

Verona: Elȋna Garanča, una Carmen innovativa pur nel rispetto della tradizione

Il mezzosoprano lettone al suo debutto all'Arena nel capolavoro di Bizet

Per questa ripresa di Carmen durante l’arroventata stagione areniana l’attesa era molta a causa del debutto in anfiteatro di una delle voci più note ed amate nel panorama internazionale, il mezzo soprano Elȋna Garanča.
Lo spettacolo è quello creato da Franco Zeffirelli per lo spazio areniano nel 1995, esso mantiene ancora oggi il suo fascino nonostante il mondo del teatro musicale abbia fatto nel frattempo molti passi avanti (o indietro a seconda delle opinioni): un allestimento che, in questo particolare spazio in cui quasi tutto assume un significato differente, rimane ancora valido sempre che non venga sacrificato un più approfondito lavoro registico (che in Arena resta ancora e sempre il tallone d’Achille) sull'altare di facili effetti. Detto questo lo spettacolo scorre bene e l’inserimento della Compañia A.Gades (pur preponderante) risulta una scelta tanto astuta e funzionale quanto di ottimo livello artistico per la qualità dell’organico spagnolo .

Presente per sole due recite in agosto (la prima  interrotta però per pioggia a circa metà del III Atto) l’interpretazione offerta dalla Garanča del complesso carattere femminile, creato da Bizet su ispirazione di Mérimée, colpisce nel segno e per più motivazioni.
Innanzitutto la sua Carmen, pur agendo  in un contesto completamente tradizionale, non indulge mai alle convenzioni che negli anni hanno appesantito il ruolo e gli elementi scenografici/costumistici non interferiscono con la sua forte e determinata caratterizzazione teatrale. Il suo personaggio si presenta dunque come una donna istintiva, indipendente e forte, certo, ma anche fragile e costantemente in dubbio sul suo futuro (consulta spesso e quasi compulsivamente le carte , quasi a cercar conforto o una risposta), sicura delle sue scelte e decisa a sacrificarsi per esse ma umanamente spaventata di fronte ad un uomo che, ne è certa, le darà per esse la morte, a cui va incontro con dolente consapevolezza. Un profilo interpretato  attraverso un tratteggio attualissimo in cui ogni donna, di ogni tempo, può rivedere parte di sé e che trasmette oggi pienamente la potenza e la contemporaneità di questo carattere femminile , ormai diventato simbolo di libertà. La vocalità poi, dal timbro tanto rotondo e pieno quanto perfettamente dominato in tutta la tessitura, collabora perfettamente alla definizione di un personaggio in continua evoluzione con il dipanarsi del dramma. Una notevole interpretazione che ha goduto di un meritatissimo successo in anfiteatro.

Brian Jadge, già ascoltato nel corso della stagione, si è confermato un robusto Don Josè e, soprattutto nel III e IV atto, ha dato prova di una solida e drammatica teatralità.
Molto bene Maria Teresa Leva che nella sua Micaela, attraverso un attento uso della vocalità, ha evidenziato la forza che la pone in fiero contrasto con Carmen piuttosto che costantemente accanto al focolare quale angelo (bello in questo senso il confronto delle due donne nel finale Atto III) mentre Claudio Sgura delineava un Escamillo di tutto rispetto, elegante e solido quanto signore e sicuro nei modi.
Molto bene anche il resto del cast nella sua interezza: Daniela Cappiello (Frasquita), Sofia Koberidze (Mercedes), Nicoló Ceriani (Dancairo) , Carlo Bosi (Remendado), Gabriele Sagona (Zuniga) e Biagio Pizzuti (Morales) .

Bene il Coro della Fondazione diretto da Ulisse Trabacchin ed il coro di Voci bianche A.LI.VE diretto da Paolo Facincani.

Marco Armiliato, impegnato quest’anno quale direttore musicale a compattare quasi ogni sera cast del tutto eterogenei con  quasi totale assenza di prove, ha diretto con la consueta professionalità, eseguendo dunque egregiamente il suo compito.

Grande successo di pubblico per tutti gli interpreti con particolari ovazioni al mezzosoprano lettone.