Nel secondo cast Daniela Schillaci e Stefano Secco
Al teatro filarmonico di Verona torna Stiffelio, un'opera tormentata scritta negli anni di galera da Giuseppe Verdi, poco prima della trilogia popolare iniziata con Rigoletto
Ispirato dalla commedia “Le Pasteur, ou L'Évangile et le Foyer" di Èmile Souvestre ed Eugène Bourgerois, andò in scena il 16 novembre 1850 al Teatro Grande di Trieste con scarso successo. Il 16 agosto 1858 venne rappresentata una nuova versione con il titolo di Aroldo al Teatro Nuovo di Rimini. Solo nel 1968 verrà riscoperta al Regio di Parma con la direzione di Peter Maag.
L'allestimento proposto a Verona è quello del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Opèra de Monte-Carlo. La regia di Guy Montavon punta ad uno spettacolo minimale, sottolineato da alcuni movimenti funzionali alla storia. Le scene e i costumi sono di Francesco Calcagnini con ambientazioni molto cupe come la gelida casa, il cimitero e la chiesa nel finale con l'organo al centro, le pietre del perdono che scendono su ogni elemento del coro, il pavimento con la grande bibbia aperta e le parole incise del vangelo. I costumi dalle tinte scure rispecchiano l'austerità dei personaggi, solo l'abito dell'amante Raffaele è di colore rosso acceso, come la passione. Guy Montavon cura anche le suggestive luci di taglio quasi caravaggesco, che sottolineano ancora di più la tensione generale.
Il giovane maestro Leonardo Sini guida con grande sicurezza l'Orchestra dell'Arena di Verona. Ne esce una concertazione curata, con tempi corretti, sempre attenta alle voci, ricca di colori che sottolineano le belle pagine musicali. Eccellente anche il coro diretto dalla grande professionalità di Roberto Gabbani, che ha saputo cogliere ogni singola sfumatura, compresi i pregevoli pianissimi.
Stiffelio era Stefano Secco. Il tenore si muove con sicurezza mostrando una voce di bel timbro, squillante, abbastanza salda, unita ad una credibilità scenica. Risolve efficacemente l'aria "Vidi dovunque gemere" al primo atto e i vari momenti d’assieme.
Inquieta e turbata è la Lina di Daniela Schillaci, che scolpisce efficacemente il suo personaggio sia nelle bruniture che nel registro medio-alto, senza tralasciare interessanti sfumature, acuti centrati e una recitazione riflessiva. La preghiera "A te ascenda, o Dio clemente" è un concentrato di pathos , nell'aria "Ah, dagli scanni eterei" e nella successiva cabaletta "Perder dunque voi volete" mostra la consueta solidità vocale.
In scena brilla lo Stankar del baritono Vladimir Stoyanov, che da interprete appassionato quale è, ha fatto di Verdi il suo compositore ideale. Lo si sente nel canto nobile, omogeneo, ricco di accenti, nell'attenzione alla parola, nel fraseggio, grazie ad un timbro sempre caldo e pastoso. Da manuale l'aria "Lina pensai che un angelo" intrisa di una forza drammatica commovente che ha suscitato una lunga ovazione, seguita dall'irruente cabaletta "Oh gioia inesprimibile".
La voce fresca e limpida di Carlo Raffaeli è quanto mai azzeccata per la parte del giovane amante Raffaele. Ottimo anche il basso Gabriele Sagona, che con un mezzo sempre sicuro dona a Jorg la giusta autorevolezza e solennità. A completare il cast c'erano due bravi professionisti come Francesco Pittari (Federico) e Sara Rossini (Dorotea).
A fine recita applausi convincenti con vette per Stoyanov e Schillaci, da parte di un pubblico che ha riscoperto con piacere quest'opera poco frequentata, ma comunque interessante.
Marco Sonaglia (Teatro Filarmonico-Verona 3 novembre 2024)